La recente storia della nostra libertà, la dobbiamo a tutte quelle donne e quegli uomini che ne compresero l’importanza, attraverso l’unione di forze che riuscirono a far terminare un periodo di guerra, fame, torture e repressione.
Non è semplice ricostruire la storia delle piccole realtà montane, dove la Resistenza si affermò con più tenacia, grazie ai nu ai numerosi nascondigli anche per volontà degli abitanti stessi che aiutarono e nascosero i partigiani.
L’Alta Val Trebbia con la grande estensione boschiva, fungeva da richiamo e luogo certamente più sicuro per i numerosi renitenti alla leva che scelsero di stare dalla parte di chi voleva un mondo diverso.
Da Piacenza a Genova lungo le sponde del fiume Trebbia tantissimi sono i racconti di chi visse quel periodo e di cui non se ne rilevò la grande importanza. Per anni anche a Campi di Ottone si raccontava del partigiano Bisagno (Aldo Gastaldi) e della sua brigata la Cichero, i ricordi vanno a Molinelli Francesco e Molinelli Silvio fucilati nel dicembre 1944, altri partigiani invece sopravvissero nascondendosi fra i boschi e gli anfratti della montagna ed è il caso di Molinelli Giuseppe 1922 e Molinelli Carlo 1926 ricordati dagli attuali paesani andando a ricercare proprio i sentieri che consentivano loro di trovare rifugi sicuri.
Il posto chiamato Creuso de Rufin accoglieva proprio i giovani renitenti alla leva di Campi menzionati prima.
Persone che vanno ricordate anche per l’enorme dose di coraggio assieme a tutti gli abitanti che hanno destinato loro aiuto e cibo.
Dal 1945 ad oggi son trascorsi più di 70 anni, per le nuove generazioni è solo unastoria lontana ma comunque la più attuale e più vicina, dove le testimonianze dei partigiani più longevi come Carlo Taverna di 98 anni (Brigata Cichero) devono continuare a far sentire quella memoria di pace, uguaglianza e libertà trasmessaci da tutti coloro che hanno lottato intensamente contro un nemico che oggi torna a bussare alle nostre porte.
Un grazie a coloro che mi hanno permesso di poter contribuire con questo scritto al ricordo di una generazione che si spese moltissimo, un grazie a Renzo Nobile per la sua costanza e passione nel ricordarmi quello che fece mio nonno Pippo.
Giovanna Baracchi
(Articolo tratto dal N° 31 del 13/09/2018 del settimanale “La Trebbia”)
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