“Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione”. (Piero Calamandrei)
Il giovane Dott. Matteo Mielati, da poco giunto al termine dei suoi studi presso l’Università degli Studi di Milano – Facoltà di Lettere e Filosofia -, pone questo pensiero all’inizio della sua ricerca: un pensiero che lo ha animato nel suo lavoro, sui “venti mesi” nei quali la Resistenza italiana si impegnò nell’arduo compito di contrastare il duplice nemico nazifascista. “Mesi intrisi di eventi, imprevisti, traversie di ogni tipo, alcuni coronati da una fine gloriosa, altri sfociati verso epiloghi drammatici”.
Alcuni episodi della Resistenza sono ancora oggi realtà vive, come i tremendi eccidi di Marzabotto o Sant’Anna di Stazzema, oggetto di numerosi studi da parte di molti storici. Altri episodi e avvenimenti nel corso dei decenni sono stati se non dimenticati, quantomeno trascurati.
Matteo ha focalizzato soprattutto le vicende sulla Città di Bobbio, il più importante centro abitato della provincia piacentina e sulle valli fino ai monti liguri.
La ricerca si snoda su 13 capitoli ed inizia, logicamente, dalle dimissioni di Mussolini, seguite dall’armistizio di Cassibili del settembre 1943: la fuga del Re Vittorio Emanuele III, molti giovani allo sbando dinanzi a diverse alternative.
Su questi elementi di disordine, di confusione e di grandi incertezze, inizia in Italia, soprattutto al nord, il periodo cosiddetto della Resistenza. Fu soprattutto rilevante all’inizio la diserzione di un gran numero di carabinieri, a partire dal dicembre ’43 in seguito all’arrivo in valle di Fausto Cossu, tenente di origini sarde. Nei primi mesi cercò aderenti tra i contadini della zona e stabilii contatti con le Stazioni dei Carabinieri di Piozzano, Pianello, Agazzano, Rivergaro, Bobbio e Borgonovo V.T.
Si forma così sotto il suo comando la “Compagnia Carabinieri Patrioti”. L’arma fu fondamentale per i Patrioti.
Nomi di grande rilievo furono Emilio Canzi, Aldo Gastaldi, Virgilio Guerci.
L’iniziatore della lotta armata piacentina fu Emilio Canzi. Con il suo fiuto da guerrigliero giunse a Peli il 20 settembre 1943 dove intreccia amicizia con il parroco don Bruschi: si costituisce quindi un ristretto gruppo armato. Il tenente dei Bersaglieri Virginio Guerci, cresciuto fra le schiere di ribelli di Canzi, si mise alla testa di una formazione armata che diverrà una delle più attive lungo la media Val Trebbia e in particolare nei territori attorno a Bobbio.
Intanto a Dezza si forma un gruppo armato per volontà di alcuni contadini stanchi delle pressioni fiscali e non intenzionati a obbedire ai bandi di leva.
Nei primi mesi del 1944 un distaccamento del nucleo di Cichero, comando del leggendario Bisagno (Aldo Gastaldi) si stabilirà dalla Liguria in Val Trebbia.
In questi mesi si evidenziano due zone operative: bassa e media Val Trebbia e Val Tidone sotto il comando di Fausto che andranno a costituirsi in Divisione, Giustizia, Libertà; l’alta Val Trebbia e la Val d’Aveto comandate dalla 3° Brigata Garibaldina Cichero comandata da Bisagno.
È il momento di Londei che appare all’orizzonte come comandante della futura VIP Brigata Alpini additando la Città di Bobbio e l’abitato di Marsaglia come punti strategici. Le strade collegano il porto di Genova alla Città di Piacenza, (sede allora di importanti arsenali e munizioni) ma anche in vista di un eventuale sbarco in Liguria.
“Era giunta l’ora di resistere; era giunta l’ora di essere uomini: di morire da uomini per vivere da uomini” questa ancora una lapidaria sentenza dello storico Calamandrei.
Terminiamo questa prima parte della tesi di Matteo Mielati, troppo densa e importante in tutte le sue parti, tanto da non permetterci un riassunto in una pagina del nostro settimanale. Torneremo volentieri sull’argomento prossimamente. Nel desiderio di soddisfare in seguito le richieste dei nostri lettori per i quali questi primi capitoli hanno certamente destato il desiderio di saperne di più. Alle nostre spalle un tessuto e una ragnatela di avvenimenti che hanno cambiato la nostra storia.
La liberazione della nostra città nel 1944 non avvenne per un dispiegamento di imponenti schieramenti armati o con inutili spargimenti di sangue. “Furono piuttosto la maestria e l’abilità di pochi audaci partigiani che permisero di ottenere il risultato con il minor sforzo possibile”. La spregiudicatezza e il coraggio, l’astuzia e la freddezza propri dei più famosi capi partigiani non mancavano certamente al Ten. Italo Londei.
Si usò uno stratagemma entrando in Bobbio in bicicletta dalla parte sud della città percorrendo la piazza e la via principale. Ma il “grosso” dei partigiani non c’era alle nostre spalle: si trattava di ingannare il nemico circa l’entità delle forze attaccanti. Di essere stati ingannati si accorsero dopo… Con l’arrivo degli uomini di Virgilio la situazione tornò a ridimensionarsi e Londei potè tirare un sospiro di sollievo.
Il giorno dopo si sparse rapidamente la notizia in ogni angolo della città che finalmente Bobbio poteva dirsi liberata. Era il 7 luglio 1944. Manifestazioni di gioia incontenibili sui muri di ogni casa comparvero manifesti inneggianti i partigiani e il loro coraggio. Nel pomeriggio Londei consegnò la città, i prigionieri e le armi racimolate al Comandante Fausto e quest’ultimo lo nominò ufficialmente suo aiutante maggiore.
Il tenente Cossu godeva di molta stima e la sua popolarità gli permise di instaurare subito un inscindibile legame con la cittadinanza bobbiese. Nell’agosto dello stesso anno nacque “la Repubblica” di Bobbio.
Intanto non cessano scorribande e scorrerie. Entra in campo Bisagno dopo che avvenne la fucilazione di tre ufficiali nei dintorni di Ponte Organasco. L’autore a questo punto fa entrare in scena il Dott. Tagliani. Egli giunse a Cerignale per curare dei feriti e, saputo che i tre ufficiali insieme a una ventina di marinai stavano per essere passati per le armi, chiese di parlare con il Comandante. Fu introvabile, ma l’insistenza del Dottore, aggiuntasi a quella del parroco, esasperò tanto gli uomini di Gaspare che il plutone di esecuzione si girò verso di loro…
LA REPUBBLICA E L’ARONCHIO
L’intera valle del Trebbia e la Val d’Aveto vennero così occupate dai partigiani della III Brigata Garibaldina Cichero. Si venne così a creare un vastissimo territorio sotto il controllo partigiano. Di quei tempi calamitosi si parlò anche di Repubblica Partigiana Ligure, Repubblica dell’Antola e la più diffusa e conosciuta Repubblica di Torriglia.
Intanto a Bobbio il 1° agosto ’44 la Giunta occupò il Palazzo Comunale e si svolse l’elezione del Sindaco-Commissario. Le preferenze di maggioranza andarono al Prof. Bruno Pasquali e la carica di Vice al Dr Mario Reposi.
Trasformato e defascistizzato l’ufficio deputato al settore alimentare e sanitario, venne utilizzato per la raccolta del grano locale e dei paesi vicini. Si dissolse così il fenomeno della borsa nera. Per quanto riguarda la sanità l’unico ospedale presente in tutta la zona liberata era quello di Bobbio diretto dal Dr Silva, sostenitore della Resistenza.
I giorni della Repubblica furono contraddistinti da un aumento notevole di ricoverati, partigiani e civili che poterono così sfruttare questo servizio indispensabile. La Giunta stese la mano e chiese ai cittadini quanto potessero offrire a sostegno dell’unica struttura sanitaria.
“La generosità di alcune persone a ferragosto hanno offerto zucchero, farina, burro, vino, frutta, uova per i feriti dell’ospedale”. Un buon numero di bobbiesi dà il suo aiuto e Matteo Mielati con un sorriso sulle labbra nel suo lavoro aggiunge “non tutti quelli che potrebbero e nella misura necessaria”. Ma gli aiuti arrivano maggiormente da Torriglia, Montebruno, Fontanigorda, Gorreto, Ottone, Rezzoaglio, S. Stefano d’Aveto.
In questi tempi si mette in luce nella Giunta bobbiese il Giudice Giuseppe Peveri che, grazie alle sue vastissime conoscenze in ambito giuridico, possedeva le capacità per dare alla luce un abbozzo di Costituzione Repubblicana.
Non mancarono in quei tempi in diverse località del vasto confine della Repubblica scorribande dell’esercito nazi-fascista, forse per provare la consistenza delle forze partigiane”.
L’unico vero e proprio scontro degno di nota si verificò nel corso di quell’estate sulle rive dell’Aronchio, un piccolo corso d’acqua che nasce lungo il versante pavese del monte Penice e si immette nella Staffora. Era il 25 luglio ’44.
Questa battaglia – protagonisti Follini e Ridella – sarà ricordata per molti mesi come la più schiacciante vittoria dei partigiani della zona.
Intanto ai partigiani “arrivano dal cielo” aiuti: armi e derrate alimentari. Grazie agli aviolanci alleati che erano sempre più frequenti. “La popolazione guardava incuriosita i partigiani, le loro barbe risorgimentali, le camicie colorate ricavate dalla seta dei paracaduti”.
E in Val Trebbia è ancora vivo il ricordo dello slancio con il quale i contadini offrivano cibo e rifugio, incuranti del sacrificio e del rischio personale. In alcune canoniche della Val Trebbia preti coraggiosi ospitavano partigiani e tedeschi in fuga dall’Italia. Un unico esempio la canonica di Selva, dove il compianto don Federico Malacalza offrì alloggio a un drappello di tedeschi che battevano in ritirata.
Guido Migliavacca
(Articoli tratti dal N° N° 28 del 18/07/2013 e dal N° 30 del 05/09/2013 del settimanale “La Trebbia”)
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