9 vittime tra cui 2 caduti civili: Brucellaria Ernesto, Gabrieli Angelo; 4 partigiani fucilati in piazza San Francesco; 3 partigiani caduti in combattimento.
L”Istriano” comandante partigiano della Brigata garibaldina “Caio”, considerava che, passate le truppe nazi-mongole, Bobbio avrebbe potuto essere nuovamente liberata con un attacco a sorpresa che avrebbe costretto alla resa il presidio fascista rimasto, composto da una quarantina di uomini, alloggiati nell’albergo Barone.
Proveniente da Carana con i suoi uomini, il mattino del 6 dicembre, in San Martino, incontrò alcuni bobbiesi che si erano dati alla macchia (Bruno Pasquali e Agostino Covati), che lo sconsigliarono di attaccare la città; ma per l’istriano l’impresa avrebbe avuto buone possibilità di riuscita, dunque non desistette dal suo proposito.
Divise i suoi uomini in due gruppi, affidando a uno la Porta Alcarina e all’altro la Porta Agazza. Egli entrò in Bobbio attraverso il giardino del vescovado (fu notato dal vescovo stesso) e salì sul campanile del duomo ove piazzò una mitragliatrice.
Quando egli aprì il fuoco sul presidio del Barone, i gruppi dei suoi uomini erano appostati uno sotto i pilastri di piazza Duomo, l’altro sotto quelli di porta Agazza.
La reazione del presidio però fu tutt’altro che arrendevole, anzi, in pochi minuti i militi del presidio furono in piazza Duomo sventagliando di raffiche ogni direzione e costringendo l’Istriano ad alternare i suoi tiri ora sul Barone, ora sulla piazza.
Il macellaio Ernesto Brucellaria, abitante in via Genova (ora Contrada di Porta Alcarina) si affacciò sulla piazza, dove una raffica lo raggiunse in pieno, ferendolo gravemente; morirà due giorni dopo in ospedale.
In quel tremendo pomeriggio perderà la vita un secondo civile: Angelo Gabrieli. Egli tornava dal Rio Foino dove aveva prelevato una damigiana di acqua salata per ricavarne del sale. Appena Gabrieli uscì dalla strada del Borgo, i repubblichini, che nel frattempo avevano costituito una postazione nella parte alta di Via Genova, abbandonata dai partigiani, gli intimarono di alzare le mani. Egli obbedì ma una raffica gli tolse la vita. Aveva 37 anni e lasciava, oltre alla moglie, 6 figli di età compresa tra 1 e 11 anni. Quando gli si avvicinarono, s’accorsero di aver ucciso l’uomo che. dietro modesto compenso, recava loro ogni giorno l’acqua salata.
I partigiani si diedero alla fuga verso il greto del Trebbia, dove con il sopraggiungere delle tenebre, evitarono una strage peggiore. Quattro di loro caddero prigionieri e furono fucilati in piazza San Francesco; uno di loro aveva soltanto 16 anni e la fucilazione non gli fu risparmiata neppure con le suppliche accorate della Sig.ra Armida Farina che gestiva il bar Giardino con il marito Umberto Cella, luogo dove il sedicenne era stato costretto a consumare un pasto prima della fucilazione. Altri tre caddero in combattimento nonostante fosse intervenuto in loro soccorso il comandante della 7° brigata partigiana, Italo Londei. A notte fonda, il comandante Istriano bussò sul retro del bar Giardino per sincerarsi sulla fine toccata ai suoi uomini, ma nessuno aprì la porta. A Marsaglia, dove si diresse, sentì un’altra disapprovazione, nella trattoria Rocca da parte della Sig.ra Ida Malacalza, che molte volte gli aveva dato ospitalità. Le conseguenze di quell’attacco, già pesantissime, non furono limitate alla morte di nove persone; ma rischiarono di peggiorare la sorte di una trentina di altri civili arrestati alcuni giorni prima e rinchiusi nelle carceri, in attesa di essere interrogati perché accusati di collaborazione con i ribelli partigiani. Quell’attacco rese infatti molto più difficile l’opera di mediazione con il comando germanico intentata in loro favore dal vescovo Bertoglio; opera che. comunque, ebbe fortunatamente esito positivo e si concluse con la liberazione dei prigionieri.
Olimpio Mielati
(Articolo tratto dal N° 8 del 02/03/2017 del settimanale “La Trebbia”)
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