Il monte Antola

Abbandonata la strada e fatti pochi passi per erbosa pendice, due ore e mezzo dopo la partenza da Torriglia, eccoci sulla vetta tanto celebrata dell’Antola, che i più dei genovesi considerano come le colonne d’Ercole del loro alpinismo ma molto a torto; perché il bello della giogaia non comincia che dopo quella cima, alla quale, benché essa vada altera di vista incomparabile stupenda, si giunge senz’incontrare nel proprio cammino, quelle verdi, dolci e, da viali di faggi maestosi, vagamente intersecate pendici, che dopo la vetta d’Antola abbellano la giogaia.
Soffermiamoci un istante a contemplare quel panorama, che ha pochi pari, e mi sia lecito qui ripetere le parole con cui un’altra volta lo compendiai in breve. Dai tiepidi e ridenti colli della nostra riviera, che tutta fino al Capo Mele si scorge coi suoi golfi, coi cento popolosi villaggi, alle nevi eterni delle Alpi, dalle Alpi marittime all’aguzza punta del Viso e dai ghiacciai di Rocciamelone; da questi a quelli del Cervino, del Rosa e delle Alpi centrali, dalle pianure di Novi, Alessandria e Torino, a quelle di Lombardia ed Emilia, insanguinate in cento memorabili battaglie; dalle selvose alture dell’Apennino Ligure e Parmense a quello della Garfagnana, delle quali talvolta scorgi non pure le creste orrendamente smerlate ma fino la bianchezza delle marmoree rocce; dalle mura e dai forti di Genova, per il mar di levante, fino alle isole dell’Arcipelago Toscano ed alla Corsica; è, in una parola, la vista di quasi mezza Italia, il premio di chi guadagna quell’eccelsa punta in una giornata serena.
Di lassù gusta l’uomo dell’ineffabile armonia del creato, sente al cuore parlargli la voce di Dio, il sentimento della Religione si avviva nell’animo suo! »
Affissiamo ora più particolarmente l’occhio su quanto scorgiamo a minori distanze.
La nuova convalle che ci si affaccia a tramontana è la convalle de’ Campassi, che termina nell’Agnellasca, importante ramo della Borbera; e quel villaggio, che sull’opposto fianco della valle si scorge a mezzo della costiera, sono i Reneuzi. Proseguendo il guardo per la cresta centrale verso nord-est, ecco il M. delle Tre Croci, e il Carmo di Carrega e per la stessa più a nord ì| Cavalmurone, il Chiappo e l’Ebro e novamente a nord-est il Lesima ed il Pennice. Ecco a sud-est allo sbocco del Brugneto il piano di Trebbia, nel quale giace Montebruno; e, della Trebbia sull’opposte pendici, tra folti castagneti, la vaga Fontanigorda e sovr’essa il Roccabruna ed il Gifarco, che paiono formare un V profondo. E dietro a quella giogaia ecco l’obliqua piramide del Penna e il Misurasca; più a sud il Ramaceto, il semaforo di Portofino, la bassa Alpesisa, e quel vieppiù basso M. Vigogna, su cui la pietà genovese ha innalzato un nuovo e splendido tempio in onore della Vergine Madre di Dio: e finalmente verso occaso eccoti le roccie del M. Maggio; e quella cresta cotanto frastagliata sono i principizi del Reo Passo oltre Crocefìeschi. Ma il tempo vola e l’uomo non se ne avvede, dirò con Dante; altri monti ci chiamano e alla vetta d’Antola è d’uopo dare l’addio per ora.

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