L’avvenimento per ogni villaggio più importante nel corso dell’anno è la festa patronale della parrocchia: allora dai villaggi circonvicini piovono a schiere le brigate festose, e tra la folla scorgi, fin dal mattino, talora qualche sonatore ambulante e sempre qualche rivenditore di frutta, biscotti e confetti, tutte ghiottonerie, fuori dalle grandi solennità, sconosciute a quei paesi. Verso le 11 generalmente comincia la funzione religiosa, procede per lo più con bell’ordine e compostezza, e con tutta la solennità possibile in quei luoghi alpestri, inoltre dalla piazza i tradizionali mortaletti e dal campanile il sacro bronzo riempiono della loro eco festosa le circostanti valli.
Alla funzione fatta in chiesa seguono generalmente la processione, cui tutto il popolo prende parte, e in quest’occasione le donne e le giovanette fanno pompa dei loro abiti più festivi, che nella loro semplicità si vanno facendo sempre più di buon gusto ed aggraziati, quanto più ci avviciniamo verso la pianura del Po.
Anche nell’animo del forestiero queste feste religiose dei monti lasciano una dolce e soave rimembranza; ma al raccoglimento religioso del mattino fa poi strano contrasto il baccano delle osterie nel pomeriggio dove, caso raro nè monti, quei giorni si mangia carne e se ne mangia a josa, e intorno a cui dopo le crapule, al suono di alcuni pifferi, i giovani ballano e strillano al pari di matti: chi ha visto il movimento cadenzato dei vignajuoli, quando pigiano l’uva nei tini, hanno esatta immagine del ballo di molti di questi paesi alpestri; nè manca generalmente l’intervento dei carabinieri, che il rosso pennacchio fa spiccare tra la folla, accorsi dalla loro lontana sede, per mantenere l’ordine tra quegli spiriti esaltati da Bacco.
Nè minor festa che nella ricorrenza del santo patrono si fa nelle fiere: ma in queste manca la parte più bella delle feste alpestri, vò a dire la parte religiosa; e l’uso delle fiere è ristretto a pochi villaggi privilegiati.
Sono celebri in valle Scrivia quelle di Torriglia, Busalla, Carrega e Cabella, in valle Staffora quella di Varzi, in valle Trebbia quelle di Propata, Montebruno, Fontanarossa e Ottone, in val di Taro quella di Bedonia: nelle quali da tutti monti circonvicini corrono gli alpigiani a spacciare i loro prodotti, che son bestiame, uova, pollame e formaggi, mentre dà merciai ambulanti venuti da maggiori distanze si forniscono stoffe, calzature, ombrelli, oggetti di devozione ed altre mercanzie.
Oltre alle fiere i villaggi dè monti esercitano un minuto e continuato commercio per mezzo dè loro mulattieri coi borghi della regione, à quali mandano i propri prodotti, di cui nell’autunno è principalissimo quello delle castagne e in tutto l’anno quello del carbone, e ne ritraggono, oltre alle stoffe e mercerie, farina e pasta, onde sopperire all’usuale scarsità dè loro raccolti, il vino che la domenica consumano nelle osterie, e quel poco caffè e zuccaro, di cui alcune famiglie più agiate fanno uso con parsimonia.
Con tutto ciò assai meschino è il vitto di questi paesi: in molte vallate non manca ogni giorno la minestra o la polenta: ma in molte altre, specialmente fra quelle soggette a Genova, tali cibi sono riservati alla domenica; cibo quotidiano son le castagne e le patate; ed il pane bianco non viene concesso che come lusso agli ammalati più gravi.
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