Cariseto (Cerignale)

Foto di “La Valle delle favole”

Cariseto (982 mt.) è circondato da una vegetazione di faggi e di cerri, con ruscelli di acque sorgive, meta di escursionisti; nel borgo, raccolto sotto la roccia ofiolitica, emergono i ruderi dell’antico castello, documentato nel 1052 quando fu concesso dall’imperatore Enrico III al monastero di S. Paolo di Mezzano. Nel 1164 Federico Barbarossa lo infeudò a Obizzo Malaspina, che salvò l’imperatore dalle truppe pontremolesi, scortandolo fino a Pavia. Nel 1540 fu venduto a Gian Luigi Fieschi e in seguito al fallimento della congiura genovese subentrarono i Doria fino al 1797.
Del XVII secolo l’oratorio di S. Anna.

(Fonte: Guida turistica “Piacenza e la sua provincia” di Leonardo Cafferini)

Il castello di Cariseto
Data l’inattendibilità dei documenti datati 972 e 1143 (nei quali il castrum de Carexeto risulta di pertinenza del Monastero di San Colombano di Bobbio) considerati dagli storici dei falsi, per avere notizie certe del castello occorre arrivare al 1052 quando l’imperatore Enrico III di Franconia concesse il forte castello (di cui oggi rimangono pochi muraglioni con feritoie orizzontali, qualche sasso scolpito e beccatello inseriti nelle case di pietra della frazione omonima) al Monastero di San Paolo di Mezzano – poi Scotti. Un secolo più tardi, nel 1164, l’imperatore Federico I di Svevia detto “il Barbarossa” investì il marchese Obizzo Malaspina (appartenente alla potente casata degli Obertenghi) e i suoi eredi legittimi “pro suo magnifico et preclaro servitio”, oltre che di molti territori della Lunigiana, delle valli del Taro, Trebbia, Staffora, ecc. anche di Caresetum et Crucem con le loro curie. L’investitura costituì una fortuna per il Barbarossa in quanto nel 1167, provenendo da Lucca, in ritirata da Roma dove la peste aveva decimato il suo esercito, avendo trovato sbarrata la strada di Monte Bardone da parte dei Prontemolesi ostili, “dovette affidarsi” al marchese Obizzo Malaspina, il quale, scortandolo attraverso sentieri pericolosi e disagevoli di montagna del territorio di sua pertinenza, lo condusse in salvo a Pavia. E’ assai probabile che in quell’occasione, l’Imperatore, percorrendo parte della strada del Cifalco che passava per Orezzoli, Cariseto, Oneto, Ponte Organasco, Pregala, sia stato ospite per motivi logistici, sia pure per brevissimo tempo, nel castello di Cariseto.
Da un documento datato 27 Dicembre di quello stesso anno, conservato presso l’Archivio Capitolare di S. Antonino, risulta che Piacenza obbligò il marchese Obizzo e suo figlio Morello ad aderire alla Lega Lombarda ed a cedere al Comune i castelli di Cariseto, Croce, Pietra Corva e Oramala. L’ulteriore citazione del fortilizio in una bolla del 1195 di papa Celestino V a favore del Monastero di Mezzano, dimostra l’intreccio degli interessi dell’Abbazia con la giurisdizione obertenga della Val d’Aveto.
In seguito, Cariseto appare in un privilegio del 1220 dell’imperatore Federico II di Svevia. Successivamente, per motivi sino ad ora non accertati, ma forse legati a garanzie ed a prestiti, Cariseto passò ai Da Mileto – poi Della Cella – , feudatari dell’Alta Val d’Aveto dai quali, in virtù della permuta del 1251, tornò ai Malaspina. Nella divisione fra i vari rami della Casata, avvenuta nel 1266, il castello toccò ai Malaspina di Mulazzo e, per la spartizione avvenuta verso la metà del XV secolo, ne divenne proprietario il marchese Antonio II; nel 1478, al tempo della “ Congiura dei Pazzi” nella rocca si “teneva fedele” al duca di Milano il marchese Pietro.
Un gravissimo episodio di violenza si verificò nel 1535 quando il marchese Morello Malaspina di Pregala, cacciato dai feudi paterni che gli erano stati confiscati, si portò nel Castello di Cariseto, allora di proprietà di Antonio Malaspina supplicando il congiunto di ospitarlo e difenderlo dai suoi nemici. Ma, una vola in salvo, contro ogni legge di riconoscenza ed ospitalità, si accordò con certi banditi della Val Nure ed ordì un colpo di mano contro il castello. Il marchese Antonio fu tenuto prigioniero per due mesi, durante i quali i ribaldi commisero violenze e soprusi. Morello inoltre s’impadronì di quanto si trovava nel fortilizio: 1500 staia di frumento, vasi d’argento, biancheria, denaro, cavalli, il tutto per un valore di seimila scudi; imprigionò e torturò i vassalli del marchese Antonio e ne trattenne parecchi a lungo nelle prigioni del castello. L’usurpatore venne poi scacciato da Cariseto, ma il marchese Antonio, che, una volta liberato, si era trasferito a Piacenza, era già morto nel 1536 senza lasciare eredi legittimi; pertanto il feudo ed il castello passarono ad altri Malaspina di Mulazzo, suoi parenti, i quali l’undici giugno del 1540 li vendettero a Gian Luigi Fieschi per la somma di 9633 scudi d’oro.
Sette anni dopo, a Genova, avvenne la famosa congiura che dai Fieschi prende il nome. Tra gli alleati della fazione figuravano alcuni uomini di Cariseto il cui castello, difeso da Gerolomo Riesci, fu l’ultimo a cadere nelle mani delle truppe genovesi. Dopo essersi impadronite di Varese Ligure, al comando di Paolo Moneglia, si portarono in Val Trebbia ponendo l’assedio a Cariseto. Con l’aiuto di bombarde, situate nella località detta “il poggio”, colpirono ripetutamente il castello riducendolo in rovina. I difensori, ad un certo punto, vedendo che non era più possibile resistere data la preponderanza del nemico, di notte, attraverso una galleria sotterranea che usciva in mezzo ai boschi, abbandonarono il fortilizio e, guidati dal piacentino Gian Francesco Nielli, confidente del duca Pier Luigi Farnese, nemico dei Doria, si portarono in salvo nello Stato Farnesiano al di là dell’Aveto.
Quando per decreto imperiale i feudi confiscati passarono ai Doria anche Cariseto entrò a far parte del territorio di quei principi ai quali rimase sino all’abolizione della feudalità avvenuta nel 1797. Di rilevante importanza sono gli Statuti Malaspiniani detti in loco “la giustizia de Carsè”, ma riguardanti tutta la Val Trebbia; risalenti presumibilmente al 1300 si possono considerare un vero e proprio codice di diritto penale e civile.

Testo a cura di Carmen Artocchini

(Fonte: www.emiliaitaly.com)

Gli appunti di toponomastica del Notiziario bobbiese

Dialetto: carisèjo – Frazione del Comune di Cerignale. Nel Codice diplomatico Bobbiese il toponimo si incontra ai seguenti anni: 972, Carexeto; 1143, Cariseto; 1191, Carexeto. Nel Registrum Magnum del Comune di Piacenza: 1180, Carezeto; 1182, Carexeto; 1189, Carezeto. Nell’Archivio parrocchiale del Duomo di Bobbio all’anno 1591, Cariseto. Avevo pensato, leggendo”Castelli e rocche del Piacentino” di Nasalli Rocca che Cariseto lo si dovesse ricondurre a castrum ricetum o a qualche cosa di simile. Nel Registrum Magnum citato avevo trovato spesso “ricetum e rizetum”. Il “ricetum” era il cortile interno di un “castrum”, era l’ultimo rifugio per un paese assalito.
E Cariseto fu un castro che ebbe perfino dei propri Statuti rintracciati a Parma e dadati dal 1400. Il Castro era famoso, ancora oggi corre sulle bocche delle popolazioni vicine una frase che alcuni interpretano di scherno, altri di timore:«Giüstissia de Carizè(i)o = giustizia di Cariseto». Poi rileggendo nell’Enciclopedia Treccani, alla voce – Toponomastica che dal VI al XIII sec. da nomi botanici si formano toponimi con desinenza in –eto e constatando che moltissimi toponimi nella valle si trovano in queste condizioni, dovetti ricredermi. Cariseto deriva da “carex” = carice, sotton, il cui nome vanno in gran numero piante acquatiche e palustri. La loro presenza da una fisionomia caratteristica al paesaggio, perciò è facile trovarle in toponimi (Vedi: Trattato di Botanica a cura di G.Gola – G.Negri – C.Cappelletti – Utet , Torino 1940 – XVIII, pag 925). Nomi di luogo da ravvicinare al nostro devono essere : Carisasca, nel comune di Cerignale e Calice nel Comune di Bedonia

Cariseto sul Web:
Facebook: Pagina – La mitica Alta Val Trebbia -Cariseto- -Selva- -Rovereto

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