Dove si trova
Cariseto è una frazione del comune di Cerignale, dal quale dista circa 4,5 km.
Il castello
Sito in posizione dominante sulla rocca di Cariseto, il possente castello è oggi un rudere, sebbene lasci intuire tutta l’imponenza che doveva caratterizzarlo quand’era integro. Edificato direttamente su un solido sperone roccioso, il fortilizio è tutt’uno con la montagna, e certo nei secoli passati doveva incutere un certo timore in chi si avvicinasse al borgo da fondovalle.
Quel che resta oggi della struttura, devastata dalle bombarde dei Doria nel 1547 e parzialmente restaurata in tempi recenti per evitare il crollo delle parti più instabili, è il robusto muraglione di cinta, retto da bastioni di rinforzo, che conserva le sottili feritoie usate come bocche da fuoco dai difensori della guarnigione. Ai lati rimane traccia delle torri rotonde, presumibilmente rafforzate da bastioni alla base, mentre all’interno è integra la piccola piazza d’armi, e si possono facilmente indovinare le tracce di alcune camere. Una comoda passerella di legno con ringhiera permette l’accesso all’ambiente interno alle mura. Non v’è traccia del tetto, crollato e successivamente sgomberato insieme con il resto delle macerie delle murature interne.
Cenni storici
Per avere notizie certe del castello occorre arrivare al 1052 quando l’imperatore Enrico III di Franconia concesse il forte castello (di cui oggi rimangono pochi muraglioni con feritoie orizzontali, qualche sasso scolpito e beccatello inseriti nelle case di pietra della frazione omonima) al Monastero di San Paolo di Mezzano – poi Scotti. Un secolo più tardi, nel 1164, l’imperatore Federico I di Svevia detto “il Barbarossa” investì il marchese Obizzo Malaspina (appartenente alla potente casata degli Obertenghi) e i suoi eredi legittimi “pro suo magnifico et preclaro servitio”, oltre che di molti territori della Lunigiana, delle valli del Taro, Trebbia, Staffora, ecc. anche di Caresetum et Crucem con le loro curie. L’investitura costituì una fortuna per il Barbarossa in quanto nel 1167, provenendo da Lucca, in ritirata da Roma dove la peste aveva decimato il suo esercito, avendo trovato sbarrata la strada di Monte Bardone da parte dei Prontemolesi ostili, “dovette affidarsi” al marchese Obizzo Malaspina, il quale, scortandolo attraverso sentieri pericolosi e disagevoli di montagna del territorio di sua pertinenza, lo condusse in salvo a Pavia. E’ assai probabile che in quell’occasione, l’Imperatore, percorrendo parte della strada del Cifalco che passava per Orezzoli, Cariseto, Oneto, Ponte Organasco, Pregala, sia stato ospite per motivi logistici, sia pure per brevissimo tempo, nel castello di Cariseto.
Da un documento datato 27 Dicembre di quello stesso anno, conservato presso l’Archivio Capitolare di S. Antonino, risulta che Piacenza obbligò il marchese Obizzo e suo figlio Morello ad aderire alla Lega Lombarda ed a cedere al Comune i castelli di Cariseto, Croce, Pietra Corva e Oramala. L’ulteriore citazione del fortilizio in una bolla del 1195 di papa Celestino V a favore del Monastero di Mezzano, dimostra l’intreccio degli interessi dell’Abbazia con la giurisdizione obertenga della Val d’Aveto.
In seguito, Cariseto appare in un privilegio del 1220 dell’imperatore Federico II di Svevia. Successivamente, per motivi sino ad ora non accertati, ma forse legati a garanzie ed a prestiti, Cariseto passò ai Da Mileto – poi Della Cella – , feudatari dell’Alta Val d’Aveto dai quali, in virtù della permuta del 1251, tornò ai Malaspina. Nella divisione fra i vari rami della Casata, avvenuta nel 1266, il castello toccò ai Malaspina di Mulazzo e, per la spartizione avvenuta verso la metà del XV secolo, ne divenne proprietario il marchese Antonio II; nel 1478, al tempo della “ Congiura dei Pazzi” nella rocca si “teneva fedele” al duca di Milano il marchese Pietro.
Un gravissimo episodio di violenza si verificò nel 1535 quando il marchese Morello Malaspina di Pregala, cacciato dai feudi paterni che gli erano stati confiscati, si portò nel Castello di Cariseto, allora di proprietà di Antonio Malaspina supplicando il congiunto di ospitarlo e difenderlo dai suoi nemici. Ma, una vola in salvo, contro ogni legge di riconoscenza ed ospitalità, si accordò con certi banditi della Val Nure ed ordì un colpo di mano contro il castello. Il marchese Antonio fu tenuto prigioniero per due mesi, durante i quali i ribaldi commisero violenze e soprusi. Morello inoltre s’impadronì di quanto si trovava nel fortilizio: 1500 staia di frumento, vasi d’argento, biancheria, denaro, cavalli, il tutto per un valore di seimila scudi; imprigionò e torturò i vassalli del marchese Antonio e ne trattenne parecchi a lungo nelle prigioni del castello. L’usurpatore venne poi scacciato da Cariseto, ma il marchese Antonio, che, una volta liberato, si era trasferito a Piacenza, era già morto nel 1536 senza lasciare eredi legittimi; pertanto il feudo ed il castello passarono ad altri Malaspina di Mulazzo, suoi parenti, i quali l’undici giugno del 1540 li vendettero a Gian Luigi Fieschi per la somma di 9633 scudi d’oro.
Sette anni dopo, a Genova, avvenne la famosa congiura che dai Fieschi prende il nome. Tra gli alleati della fazione figuravano alcuni uomini di Cariseto il cui castello, difeso da Gerolomo Riesci, fu l’ultimo a cadere nelle mani delle truppe genovesi. Dopo essersi impadronite di Varese Ligure, al comando di Paolo Moneglia, si portarono in Val Trebbia ponendo l’assedio a Cariseto. Con l’aiuto di bombarde, situate nella località detta “il poggio”, colpirono ripetutamente il castello riducendolo in rovina. I difensori, ad un certo punto, vedendo che non era più possibile resistere data la preponderanza del nemico, di notte, attraverso una galleria sotterranea che usciva in mezzo ai boschi, abbandonarono il fortilizio e, guidati dal piacentino Gian Francesco Nielli, confidente del duca Pier Luigi Farnese, nemico dei Doria, si portarono in salvo nello Stato Farnesiano al di là dell’Aveto.
Quando per decreto imperiale i feudi confiscati passarono ai Doria anche Cariseto entrò a far parte del territorio di quei principi ai quali rimase sino all’abolizione della feudalità avvenuta nel 1797. Di rilevante importanza sono gli Statuti Malaspiniani detti in loco “la giustizia de Carsè”, ma riguardanti tutta la Val Trebbia; risalenti presumibilmente al 1300 si possono considerare un vero e proprio codice di diritto penale e civile.
Informazioni turistiche
I ruderi del castello sono accessibili ai visitatori.
Fonti
Giacomo Turco su www.icastelli.it – Carmen Artocchin www.emiliaitaly.com
Foto di Giacomo Turco (giames78.blogspot.it) – Marco Gallione (www.altavaltrebbia.net) – etioetio – it.wikipedia.org
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