L’interesse geologico prevale nella lettura di questo itinerario: più che altrove, è evidente come la natura della roccia condizioni di volta in volta la natura del paesaggio, il tipo di vegetazione e, in definitiva, anche il tipo di presenza umana. Il versante destro della val Trebbia, in una regione già interessantissima sotto questo profilo, ha per i geologi una importanza fondamentale.
Già negli elementi costruttivi dei primi muretti del percorso sono presenti le rocce che incontreremo in seguito: chiari calcari, brune arenarie, rocce verdi, conglomerati scuri e diaspri rossi. Sono rocce di natura diversa, ognuna delle quali rappresenta un pezzetto della storia geologica della nostra regione.
A un tornante della strada Casanova-Fontanigorda, in località Canfernasca, si imbocca il sentiero, tra lembi di cerreta, prati falciati e coltivi, per scendere lungo un piccolo torrente.
Disseminate per tutto il percorso, le zone lungo i corsi d’acqua ospitano, insieme all’ontano nero, salici arbustivi, giunchi e mente, e sulle rocce sempre bagnate vegetano muschi e felci. Nelle pozze di acqua stagnante pattinano rapidi sulla superficie insetti gerridi, dall’inconfondibile corpo allungato, mentre le acque correnti celano sul fondo le larve di altri insetti acquatici (plecotteri, tricotteri) e sulle rive si nasconde qualche anfibio (rospi e rane rosse) . Non è improbabile trovarvi anche qualche trota. Si aprono scorci sul Gifarco, il Roccabruna e il monte Castello del Fante: la morfologia rude di tali rilievi ci suggerisce la possibile presenza di corvidi e di rapaci. Se facciamo attenzione, potremo distinguerne le sagome in volo: nere e poco eleganti quelle delle cornacchie, nobili e rotonde quelle delle poiane, svelte e agili quelle dei gheppi.
Si sale dolcemente a una piana che ospita un secolare castagneto da frutto, popolato dagli immancabili rovi e dalla felce aquilina. Al margine, le specie forestali del bosco misto (ornielli, carpini, aceri, cerri) stanno per sostituirsi al castagno.
Mentre il sentiero si restringe a mulattiera, il substrato di rocce ofiolitiche, pesanti e scure, ospita radi pini neri e silvestri. Le ofioliti caratterizzano molti dei rilievi della Liguria centrale e orientale: sono tra le rocce più antiche della nostra regione, e si sono formate sul fondo di un oceano che esisteva, più o meno, all’epoca dei dinosauri.
Poco oltre affiorano bianchi calcari, ma poi, su gabbri e serpentiniti (sempre facenti parte delle ofioliti), il paesaggio ritorna aspro e selvaggio: tra erbe e bassi arbusti, qualche pino silvestre dalla corteccia rossastra e qualche ginepro resistono sulla nuda roccia appena sgretolata. Sulle arginiti la morfologia è invece più dolce, e la vegetazione un poco più abbondante e continua; si fanno più frequenti i bassi “cuscini” spinosi della ginestra di Salzmann, i fitti tappeti di erica carnea e le compatte sagome scure del brugo. Poco oltre è visibile un fenomeno di erosione differenziata; rocce sedimentarie più resistenti (le arenarie) sporgono in bancate potenti rispetto a strati più teneri, sottili ed erodibili (le arginiti) .
Segnalato dalla presenza di salici, ontani bianchi e neri e qualche carpino, si incontra nuovamente il piccolo torrente, che a valle forma dei suggestivi salti d’acqua.
Il sentiero sale ripido tra faggi arbustivi e contorti, saliconi e sorbi montani: più in quota c’è quasi solo il faggio; nel sottobosco tappezzato dai mirtilli, ecco la bellissima orchidea dalle foglie macchiettate. Contrastano con questi ambienti freschi e ombrosi, gli ambienti di roccia scura, aridi e assolati. Ad un poggio la vista si apre sulla torbiera di lago Marcotto. Superata una staccionata, il sentiero passa su un pavimento di arenaria scavato fra le sfaldabili arginiti; poco oltre, queste ultime rocce, friabilissime, sono così frequenti da dare al paesaggio caratteristiche morfologie “a calanchi”, instabili e povere di vegetazione. Percorrendo ancora praterie sassose e boschi di faggi, si giunge alla Fontana del vino. All’ombra degli ontani bianchi, fiorisce la calta: simile a un grosso ranuncolo, questa specie fa parte di quel gruppo di piante giunte fino a noi durante l’era glaciale, dalla Siberia e dalla Scandinavia; alcuni esemplari di tali specie sono rimasti nella nostra regione, col ritiro dei ghiacciai, approfittando del permanere di ambienti particolarmente freddi e umidi, come i bordi dei torrenti di montagna.
Il bosco di ontano sfuma adesso in una faggeta, all’ombra della quale fioriscono anemoni dalle corolle bianche e violette, gerani nodosi e profumati fior di stecco. Poco oltre affiorano diaspri di un bel rosso mattone. Ora il sentiero procede in piano, ancora in faggeta, fino a raggiungere un’altra zona umida. Sotto le fronde dell’ontano bianco fioriscono sia specie comuni di zone umide, come la menta e la coda di cavallo, sia altre più rare: la calta, il bianco ranuncolo a foglie di platano, l’aconito variegato e la balsamina non-mi-toccare, che lancia con violenza i suoi semi appena giungono a maturazione. Nella faggeta si respira odore di funghi: a fine estate le colombine rosse, verdi e morelle allietano il sottobosco. Sulle ceppaie dei faggi fioriscono a primavera le acetoselle; nella fertile lettiera, mentre germinano le faggiole, notiamo un’elegante orchidea: la Epipactis helleborine.
Fuori dalla faggeta si infittisce il tappeto di eriche e di mirtilli. Ad essi si associano, nelle radure, i lamponi e gli epilobi, alte erbe dalle copiose fioriture violette. Ma è ancora la faggeta a caratterizzare l’ultimo tratto del nostro percorso, fino a passo di Vallersone, alle falde del Montarlone (1500 m) . Siamo giunti al crinale, dove il panorama si apre sulla val d’Aveto.
(Articolo tratto dalla pubblicazione “Itinerari naturalistici” della Comunità Montana Alta Val Trebbia)
(La fotografia di Casanova è di Roberto Sciutto)
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