Il principale interesse dell’itinerario è dato dalla sua stessa meta: il lago Marcotto. La scarsità di zone umide di una certa ampiezza nella nostra regione, soprattutto a quote elevate, e insieme le vicende climatiche che hanno interessato la flora e la fauna ligure durante e dopo le glaciazioni, fanno di questi preziosi ambienti dei piccoli tesori di dati e di notizie sulla storia naturale della Liguria, e non solo. Sono ambienti da conoscere e da proteggere; disseminati qua e là lungo l’appennino settentrionale, hanno conosciuto alterne fortune: talvolta sono stati tutelati da leggi apposite, come nel caso delle Agoraie nella vicina val d’Aveto, talvolta sono scomparsi di fronte all’avanzare cieco del turismo invernale, come in certe note stazioni sciistiche.
Il sentiero parte dalla strada che unisce Casanova a Fontanigorda, poco dopo il ponte sul torrente Pescia. La mulattiera, tra i coltivi e i prati, è bordata da aceri e cerri. Su certi muretti verdi di muschio e gialli di licheni vivono la falsa liquirizia e la sassifraga a foglie cuneate. In una depressione del terreno, si osservano le prime piante di zone umide: code di cavallo, giunchi e filipendule.
In un castagneto ceduo, la persistenza di castagni d’alto fusto e le tracce di terrazzamento ci fanno intuire che in passato si trattasse di una coltivazione, cioè di un castagneto da frutto. Molti di questi boschi, non più curati come accadeva un tempo, sono oggi sfruttati di quando in quando per ricavare legna da ardere; cataste di legna lo testimoniano.
Lungo i tornanti del sentiero piccole radure sono popolate da eriche e mirtilli. Lucertole e ramarri dalle intense tinte verde-azzurro si crogiolano al sole estivo, sulle scure rocce affioranti. Queste appartengono alle ofioliti, rocce verdi scure ricche in magnesio, un elemento chimico tossico per le piante se presente in concentrazioni elevate: ospitano qualche pino nero e silvestre, ma la vegetazione comunque scarseggia. La comparsa di ontani e di giunchi ci indica la presenza di una falda acquifera superficiale: in effetti, una fonte sgorga a mezzo versante, e le sue acque sono captate appena a valle. Più su, la roccia è colonizzata dall’elicriso e dall’anterico, un piccolo giglio bianco. Praterie aride, dai suggestivi gialli e verdi chiaro, si alternano al rosa delle estese fioriture del brugo nella tarda estate, o dell’erica carnea a primavera. Talvolta queste brughiere ospitano i colori argentei del sorbo montano e quelli rossi brillanti delle bacche del sorbo degli uccellatori.
Il sentiero sale ancora, e aggira dal basso la collina di lago Marcotto. Il cerastio e la minuarzia a foglie di larice formano “cuscini” più o meno densi, mentre sul fondo della mulattiera cresce la poligala falso-bosso, dall’intenso profumo di limone e dai fiori giallo violetti. Si costeggia ora per breve tratto un rio che scende dal Roccabruna, la cui mole oscura il cielo dinnanzi a noi. Si abbandona la mulattiera che porta al crinale, per imboccare un sentiero che sale invece sulla collina appena aggirata. Gli insetti più comuni in queste praterie fiorite sono le cavallette, i coleotteri dai colori brillanti, le api e le farfalle.
E’ possibile, in queste lande aspre e selvagge, avvistare il,cinghiale, specialmente all’alba e al tramonto; .frequenti sono comunque le tracce del suo passaggio (“sentieri”, grattatoi, zolle di terra rivoltate col grifo nella sua meticolosa ricerca del cibo, pozze di fango dove si rotola per liberarsi dai parassiti…).
Eccoci alla conca di lago Marcotto: la sua forma rotondeggiante è quella tipica di un laghetto di origine glaciale.
Oggi, più che un lago, II lago Marcotto deve essere considerato una torbiera: infatti, la crescita della vegetazione è rigogliosa ad ogni stagione, ma non è sufficientemente compensata da una decomposizione altrettanto rapida della materia organica; con la morte della vegetazione, questa finisce per accumularsi sul fondo. La mancata decomposizione, ostacolata sia dalle basse temperature, sia dalla carenza di ossigeno, porta alla formazione della torba. Per questo motivo, come è nel destino di molti laghetti di montagna, il lago si sta progressivamente interrando. La struttura di una torbiera è riconducibile a una serie di cinture concentriche di vegetazione: la più interna corrisponde alla zona in cui l’acqua è più abbondante, in quella esterna l’umidità del suolo è invece molto più ridotta.
La zona centrale della torbiera è colonizzata uniformemente dalla cannuccia di palude, che caratterizza la conca palustre ad un primo colpo d’occhio; intorno ai fusti della cannuccia, il trifoglio fibrino, dalle corolle candide e delicate, forma una fitta rete di rizomi. Ma se cautamente ci si addentra nel fitto di queste alte erbe si scopre, sui cuscini di muschi sfagni gonfi d’acqua, la drosera, l’inconfondibile pianta carnivora: con le sue rosse foglie a cucchiaio, provviste di peli ghiandolosi, questa esile piantina integra la sua dieta catturando incauti moscerini.
In questi ambienti umidi convivono anfibi comuni, come rane e rospi, con altri più rari e interessanti, come il tritone comune e il tritone crestato, che trascorrono la maggior parte della vita, anche da adulti, in acqua. Non mancano insetti acquatici: ad esempio, si fanno notare le grandi libellule del genere Aeschna. Una “cintura” di piumini, parnassie e carici interessa soprattutto la sponda meno acclive dell’invaso. Vi fiorisce nella tarda estate l’orchidea Epipactis palustre. La zona dell’immissario ospita un boschetto di ontani neri: qualche esemplare si spinge a colonizzare le zolle di muschi e sfagni, verso il centro del lago.
L’emissario merita qualche attenzione: qui i cespi delle carici e della molinia azzurra consolidano il terreno ancora instabile, mentre la calta e la veronica beccabunga fioriscono tra i sassi nelle acque correnti. Poco lontano dall’acqua vivono anche la sanguisorba e la filipendula, mentre molte specie di orchidee si lasciano ammirare nei lembi di prato e di brughiera ormai affrancati dall’acqua.
(Articolo tratto dalla pubblicazione “Itinerari naturalistici” della Comunità Montana Alta Val Trebbia)
(La fotografia di Casanova è di Roberto Sciutto)
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