Il termine italiano “suolo” viene normalmente tradotto con “sèu” nel dialetto di Santo Stefano. Il vocabolo acquisiva tuttavia un’accezione particolare in Val d’Aveto.
Questa bassa costruzione cilindrica si trovava al centro della stanza principale. Sopra il “suolo’ veniva acceso il fuoco. Da notare che non esisteva un camino che portasse via il fumo. Questo veniva accumulato tanto in alto da rendere invisibile il tetto sovrastante dall’interno. Negli anni Sessanta del secolo scorso a Montegrosso di Amborzasco ho potuto ancora vedere uno di questi camini perfettamente funzionante. Resta da chiedersi il perché di tale arretratezza. Penso che una risposta possano fornircela l’isolamento dei nostri paesi lontani dalle città e gli scarsi contatti con il mondo più sviluppato. Qui la vita scorreva in un modo impensabile ai nostri giorni. La lentezza delle attività del contadino rappresentava essa stessa un rito nel contesto agricolo – pastorale di quei tempi. Il modo finiva lì e d’inverno le finestrelle piccole e anguste nei giorni nuvolosi rendevano persino difficile distinguere il giorno dalla notte. Regnava un silenzio profondo fuori e dentro la casa, quando le frotte dei bambini non davano una nota di allegria alla monotonia della vita quotidiana. Il mondo finiva lì. Certo c’erano fiere, le festività e le osterie dei centri maggiori che rendevano la vita più movimentata. Soprattutto in occasione delle fiere di merci e bestiame si offriva ai valligiani il modo per socializzare e scambiarsi notizie su fatti ed eventi. Ma forse ciò che faceva da collante al tutto era la profonda fede religiosa.
Piero Campomenosi
(Articolo tratto dal N° 21 del 18/06/2020 del settimanale “La Trebbia”)
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