Consultando nella sede di Bobbio dei nostri Archivi storici diocesani un registro contabile dell’inizio dell’Ottocento, in una delle ultime carte, ho trovato un’annotazione che non riguardava specificamente i conti, bensì trattava del: “Modo per far della tela di genestra. Si prendono delle genestre e se ne fa dei massolini, indi si mettono nel acqua salata e vi si lasciano a circa quindici giorni, poi si guarda se il verde sparisce mediante frotarlo sopra una pietra; dopo averlo frotato si levono le filacie, e si travaglia come la canepa”.
Questa semplice annotazione ha risvegliato in me la curiosità sull’argomento.
Ho trovato innanzitutto conferma dell’utilizzo della ginestra a scopo tessile, come ho decritto, a livello nazionale, ma per ora non ho avuto conferma che nel nostro territorio vi sia stata una produzione, anche solo artigianale, da parte delle nostre comunità dell’Appennino. Mi rimane il dubbio che possa trattarsi dunque di una nota di esclusivo interesse dell’autore, ma ora potrebbe essere interessante indagare se in altri documenti coevi a quello da me rinvenuto, o antecedenti, vi sia traccia di una lavorazione della ginestra anche nelle nostre vallate dove, oltre al filato di lana, vi sono memorie di utilizzo di altre fibre naturali e se, allo scopo, la ginestra venisse coltivata e non semplicemente raccolta.
Vi è invece testimonianza diretta, giunta a noi anche recentemente, di un largo utilizzo dei fiori della ginestra durante le feste religiose, quali il Corpus Domini, in cui le strade e le piazze vengono addobbate con tappeti di fiori multicolori per il passaggio delle processioni. In occasione di queste bellissime “infiorate” il giallo, anche per questione di stagionalità, è quasi sempre ottenuto con i fiori della “genestra”.
Paola Agostinelli
(Articolo tratto dal N° 15 del 07/05/2020 del settimanale “La Trebbia”)
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