Sul rinvenimento di questo antico reperto può essere opportuna una breve nota di cronaca. Nel 1953, durante uno scavo eseguito sulla vetta del monte Alfeo volta a predisporre il basamento per una statua della Madonna voluta dal vescovo Pietro Zuccarino, venne ritrovata in modo del tutto casuale una piccola statua in bronzo.
L’antico manufatto scoperto e provvidenzialmente segnalato dal Sig. Giacomo Molinelli di Bertone, è l’immagine di una figura maschile, alta circa 19 centimetri, protesa nell’atto d’offerta alla divinità.
Per gli antichi popoli Liguri le sommità dei monti costituivano veri santuari, luoghi sacrali e sedi propizie ad avvicinare l’uomo al trascendente in un rapporto quasi diretto con il cielo.
In quei secoli remoti il seppellire in luoghi elevati immagini di carattere propiziatorio rispondeva ad un culto generalmente diffuso in tutta l’area celtico ligure. Il devoto portava la statuina alla montagna seppellendola in una buca scavata sul momento con ciò sentendosi partecipe del divino. Questi riti, trattandosi di popolazioni prevalentemente dedite alla pastorizia, si ripetevano ogni anno sul finire dell’estate prima della transumanza.
La figurina dell’Alfeo (che arbitrariamente si è voluto indicare come il dio Hermes) risponde pienamente alla modellistica di tali prodotti votivi predisposti (forse in piccola serie) da artigiani che – influenzati da reminiscenze dell’arte greca – ripetevano in modo quasi codificato la postura della figura e gli utensili che la caratterizzavano. Questi modelli di minuscola statuaria ripetevano la figura nel gesto di protendere con la mano destra la patéra, una specie di piatto con un tondo rialzo centrale usato anche dai Romani nei sacrifici.
Il braccio sinistro dell’offerente sorreggeva di norma un manto o un drappo e il palmo della mano aperta indicava spesso un gesto supplice. Talvolta la mano sinistra impugnava il lituo, specie di bastone sacro arcuato all’estremità superiore usato dagli antichi àuguri.
Il bronzetto dell’Alfeo, riconducibile al tardo periodo dell’arte etrusca (II° – I° sec. a.C.), è ascrivibile a quella fase della scultura che, con termine libero, si è soliti definire “alessandrina”. Tale carattere stilistico – in aggiunta alla posizione dinamica delle gambe e del busto, è pure indicato dalla la folta e libera capigliatura non più bloccata nelle elaborate acconciature presenti nei modelli arcaici. La composizione plastica della figurina ottonese si ripeteva anche nel “Bronzetto del monte Penice” che – rinvenuto nel 1924 in occasione dello scavo per la costruzione della prima strada alla vetta – è poi finito nella collezione del castello di Montegalletto di Genova. Purtroppo di tale reperto non si ha documentazione fotografica.
Questo ulteriore ritrovamento, simile ad altri avvenuti nella zona tosco-emiliana, induce a pensare che la diffusione del culto si estendesse in tutto il nostro Appennino non potendosi escludere che, dal monte Penna all’Antola, altri bronzetti giacciano sepolti.
I mezzi moderni di ricerca archeologica ne agevolerebbe oggi il rinvenimento senza poter dare però significativi apporti storico-artistici. Penso quindi sia meglio lasciar riposare queste testimonianze della pietas umana nel sonno eterno, avvolte dal silenzio sulle cime dei nostri monti.
Gian Luigi Olmi
(Articolo tratto dal N° 29 del 30/08/2018 del settimanale “La Trebbia”)
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