I Silva erano una famiglia originaria di Dezza ed erano di origini campagnole; molte altre famiglie con lo stesso cognome discesero da quel villaggio, ma solo questa era nobile, non è escluso che il capostipite di tutti quei Silva sia unico, e che, fra i tanti discendenti, solo quelli appartenenti a questa famiglia, arricchitisi col passar dei tempi e partecipando alla vita pubblica bobbiese, abbiano conseguito la nobiltà. E’ tuttavia certo che già agli inizi del’600 questa famiglia (capostipite il nobile Francesco Silva 1530), abitava in Bobbio nella casa di sua proprietà posta in Porta Franguella e che aveva tomba gentilizia in S. Colombano, davanti alla cappella di S. Lucia (come risulta dal libro delle sepolture di S. Colombano). Il suo patrimonio era costituito quasi totalmente da varie proprietà poste nei dintorni di Dezza, ma essi erano anche livellari di S. Colombano e della Cattedrale (ossia del Vescovado) e di beni posti anche altrove.
Questo patrimonio rimase sempre indiviso perchè la famiglia non diede origine a branche collaterali. Ricchi, o perlomeno abbastanza agiati, i Silva strinsero ben presto cospicui parentadi; Giambattista primo (1684-1732) marito della nobildonna Maria Malchiodi (1682-1769) diede alle figlie L. 9.000 di dote per ciascuna; Ortensia sposò il nobile Giuseppe Bacigalupi, un’altra il capitano Della Cella di Cerignale (erede per parte di padre degli Spissia di Bobbio), l’ultima, Orsola, il futuro colonnello Gian Nicolò Camia di Bettola che curò il trasporto dei resti mortali del duca Filippo di Borbone da Castel S. Giovanni a Piacenza.
11 figlio di Giambattista, Stefano Antonio (1718-1765), marito della nobildonna genovese Caterina Gibelli, (1734-1798) lasciò alcune centinaia di pertiche di terra ai suoi fratelli canonici; fra terre e benefici avevano più di 200 zecchini di reddito annuo. Questi canonici ebbero una causa contro la vedova di Stefano, che pretendeva le si restituisse la dote, cosa che essi non volevano fare, forse temendo che essa si risposasse. La faccenda si risolse con un compromesso con cui in pratica la vedova Silva prometteva di non contrarre nuove nozze, mentre i canonici promettevano la restituzione rateale della dote. Dei figli di Stefano, uno fu parroco di un paese presso Tortona e la figlia Giovanna vedova di un notaio, Carlo Achille di Romagnese e senza figli, lasciò eredi i nipoti Silva, figli dell’altro fratello Giambattista (1764-1833) che fu capitano delle milizie cittadine.
Costui rimasto vedovo una prima volta (Marianna Gatti 1771-1804) e con 4 figli, (Antonio, Caterina, Carlo, Silvestro) passò in seconde nozze (Casalnoceto 3 febbraio 1806) con la figlia del marchese Ercole Malaspina di Godiasco e di Antonia de Mirolis di nome Clara, nata i I 3 luglio 1774 nel castello di famiglia di Montefratello. Gli sposi vissero a Dezza, da loro nacquero cinque figli; quattro femmine ed un maschio, una sola figlia, Candida, si sposò e visse (1807-1875). Gli altri figli morirono tutti in tenerissima età. La marchesa Clara Malaspina morirà a Dezza il 5 aprile 1858. La figlia di primo letto, Caterina, moglie di un impiegato della sottoprefettura con L. 12.000 di dote, non ebbe figli, Silvestro, figlio di primo letto, morì in giovane età, Carlo, figlio di primo letto, esattore del le imposte, sposò la figlia di Giovanni Repetti, causidico, e di Anna Garibaldi (il padre si era risposato con una De Monticelli) e non lasciò figli, mentre il primo dei maschi, Antonio, figlio di primo letto, maritato con Lucia Zuffi, nata da Marco e da Caterina Ridella (contadini), lasciò due sole figlie; Erminia ( 1836-1892) che rimase sempre nubile.
Con la seconda di esse, Eugenia (1841-1914), la famiglia Silva si estinse. Non è noto chi sia stato il suo erede, dal momento che essa non lasciava parenti prossimi (anche sua zia Candida, maritata quando era già avanti negli anni era priva di figli ed era d’altronde già morta); non si è trovato nessun testamento, Il patrimonio dei Silva, che doveva essersi assottigliato, pur rimanendo relativamente cospicuo, è andato disperso fra molli proprietari. Certo è che questa Eugenia morì senza figli, essendosi sposala a cinquantadue anni con un mugnaio (Luigi Lorrendi), figlio di ignoti, che le sopravvisse e dilapidò tulle le sue sostanze.
I vecchi di Dezza e di Bobbio tramandano una storia conosciuta da tutti: le persone di Dezza si sono sempre riconosciute per il loro comportamento distinto, per il loro modo di fare e per la correttezza delle parole, con un linguaggio curato che gli altri paesi non avevano la popolazione ha sempre prestato servizio ai nobili Silva, tutto il paese aveva sempre vissuto allo stretto contatto con la famiglia nobile, quindi senz’altro, tutti hanno avuto modo diimparare a comportarsi in modo piùconsono con i loro usi e costumi e di usare un linguaggio più corretto. Lo spirito di emulazione ha fatto sì che pergenerazioni ci fosse la gara a migliorarsi nel modo di vivere.
Sandro di Dezza
(Articolo tratto dal N° 33 del 21/09/2017 del settimanale “La Trebbia”)
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