La raccolta della frutta secca: noci, nocciole, mandorle (dolci), rappresentava un importante integratore economico ai miseri introiti familiari. Il regime di sussistenza sui nostri monti vietava, infatti, di dissipare o non far conto anche delle semplici briciole. Ogni famiglia o fuoco, come in antico si nominavano le parentele associate, mediante l’azione di donne e bambini, nei tempi opportuni, provvedeva a farsene la maggior scorta possibile. Nell’impresa tutti attingevano a piene mani dai loro fondi e da quelli di pertinenza della comunità, secondo quote, tempi e modi regolati da intransigenza di consuetudini e usi civici. Ricordo bene, frotte di bambini elastici, flessibili, veloci, che facevano della raccolta un gioco, una gara dove gli ambiti allori del vincitore corrispondevano al peso serale del sacco. Tornavano stanchi, ma contenti, quei fanciulli, festeggiati dai familiari in attesa. Le carezze dei grandi e le loro parole di benevolenza nella circostanza, rappresentavano il miglior corrispettivo possibile, riservato dalla civiltà rurale ai meriti acquisiti dal lavoro minorile. Sull’aia. dopo “parca mensa”, si svolgevano, finalmente spontanee, le ultime corse della giornata di “fanciullezze che sarebbero trascorse in fretta, e non sarebbero state vissute molto”. I rintocchi della campanella della Pieve avevano già scandito la linea di confine tra la sera e la notte. Di li a poco il sonno avrebbe ammutolito il buio.
Noci e mandorli (dolci) erano coltivati intorno alle case, nel frutteto. Ma corvi, cornacchie e scoiattoli provvedevano a diffonderli, soprattutto i noci, in boschi e selve, quindi a consentire, ovunque, la diffusione delle specie. Ha mai osservato il lettore un corvo alle prese con una noce? Uno spettacolo! Quell’uccello è ghiotto del gheriglio e nelle settimane di abbondanza diventa cacciatore a tempo pieno. La sua vista da “falco” le scorge con facilità dall’alto, in mezzo alle foglie e le erbe del prato. sciolte dalla verde capsula del mallo, ormai rinsecchita. Un atterraggio nei pressi, due goffi saltelli, sempre sospettosi, lo avvicinano alla preda. L’afferra e riprende quota. Vola dove sa lui e fattosi “picchio onorario” tanto ci da col becco da venirne a capo. Accade però che durante il volo qualche frutto, sciogliendosi da quella specie di pinza maldestra che impropriamente lo trattiene, si dissoci dalla sua mensa. Dove la noce fuggitiva sarà caduta lo sapremo qualche anno dopo, osservando un nuovo alberello esuberante, lucide le foglie, nei luoghi più impensati.
Gli scoiattoli sono grandi raccoglitori che durante l’inverno cadono in semi letargo. Risvegliatisi devono riprendere a nutrirsi. Ecco il perché della loro affannosa ricerca ed accumulo di mandorle, noci, nocciole. Fanno depositi nascosti nel bosco, per saggia precauzione, ma. purtroppo per loro, dimenticano spesso dove li abbiano, in gran parte, collocati. La natura ha affidato la diffusione di semi preziosi, in questo caso… alla sbadataggine di scoiattoli smemorati. Quei “frutti secchi”, germinando, potranno diventare nuovi alberi, in nuovi ambienti.
I noccioli crescono generosi, spontanei e cespugliosi, ovunque, nei boschi misti. Abili mani avrebbero utilizzato le nocciole per confezionare, soprattutto, collane e croccanti ingegnosi (granella di nocciole e mandorle) .
Pane. noci, nocciole e mandorle (dolci) erano, di certo, una buona merenda (con moderazione, senza eccedere), apprezzata nella civiltà contadina. Ma la maggioranza delle scorte di frutta secca era utilizzata per la produzione di olio di semi. In ambienti isolati, in un sistema ad economia di sussistenza; rara la moneta: scarsi i traffici e i commerci. ridotti alle fiere ed ai mercati di lontani centri: animata. quel poco, soprattutto nel baratto… Bisognava arrabattarsi. come si poteva.
Traschio di Ottone, èun bellissimo borgo medievale ed integro, a dominio del fiume Trebbia. Poche case che si abbracciano all’ombra protettrice dell’antica Chiesa di San Giovanni Battista. Molti ricorderanno (con nostalgia), musiche e canti. solenni e armoniosi, sotto la direzione, dotta e sicura. dell’ultimo parroco residente. Don Guido Ghirardelli (1921/96). Tutti tornerebbero volentieri a farsi coro con quel Sacerdote dalla bella voce, insieme sciogliere: al cielo “Ut queant laxis… Sancte Joannes” (affinché i tuoi fedeli possano cantare con purezza di labbra le meraviglie delle tue gesta… o San Giovanni), l’inno. celeberrimo, delle festività del 24 giugno.
A Traschio era molto attivo un raro torchio, capace di spremere noci e ricavarne olio. Vi facevano riferimento gli abitanti dei dintorni ed anche dalle frazioni circostanti. Ottone compreso- Si trattava di una ingegnosa macchina, composta da una enorme vite, intagliata a mano: incorniciata da quercia robusta. Mossa da leve lunghe e sapienti generava la pressione necessaria a singolare alchimia: dai solidi semi di partenza mondati del loro guscio, all’olio, fluido e paglierino dell’arrivo. L’olio esclusivo e salutare dei nostri monti (non adatto per friggere1. Ma era di breve conservazione: irrancidiva nel giro di un mese o due. Veniva, allora utilizzato per le lampade dall’incerta fiammella. Un buon combustibile. Un buon riutilizzo.
In verità questo articolo avrei dovuto scriverlo circa mezzo secolo fa. quando Il Signor Mario Zanardi, di recente scomparso (quasi centenario), mi parlò del suddetto torchio, suo e della sua famiglia, titolare dell’ “oleificio” di Traschio. La foto scattata a visualizzazione risale a quel tempo. Un documento importante. Un’immagine rivolta oggi ai giovani perché non dimentichino l’ingegnosità ed i sacrifici dei loro antenati.
Attilio Carboni
Nota: le mandorle commestibili sono quelle del genere “dolci”.
(Articolo tratto dal N° 6 del 16/02/2017 del settimanale “La Trebbia”)
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