Tra Ottone Soprano, 750 metri di altitudine e Ottone (Inferiore), a m. 510, sponda destra della Trebbia, scorre il Rio omonimo, cordone ombelicale mai reciso tra le due pittoresche località dell’alta Valle, ai confini col genovesato. Della loro mulattiera millenaria, a cornice del torrente, abbiamo già riferito su questo nostro settimanale, numeri 19 e 20 del 25 maggio e 2 giugno 2014, a cui si rimanda per eventuali dettagli ed aspetti propri. Ora, a complemento e sviluppo di quanto già scritto, riferiamo elementi di civiltà agreste in un paesaggio di straordinaria bellezza e suggestione, a latere di mulattiera e Rio. Si tratta di ruralità, felice per esposizione al sole; clemenza dei venti, esclusi o moderati da speciale configurazione orografica; fecondità del suolo; lavoro e buon gusto della sua gente… Stupiscono e meravigliano le infinite muraglie di contenimento a terrazze e fasce, rara qualità architettonica. I ripiani, mirabili briciole di montagna impervia, trasformati in pianura.
Ancora nella seconda metà del secolo scorso, le popolazioni dei due Ottoni vi si riversavano in massa, coinvolte nei lavori agricoli o tipici dell’allevamento del bestiame (bovini ed ovini). Là era il luogo degli eccellenti vigneti con uve e vini (l’energico sangue di quella terra), di noto pregio; i campi di grano, spighe d’oro; i fieni “allor allor falciati” con “de’ grilli il verso che perpetuo trema”…
A ridosso della mulattiera molti “casoni” fungevano da riferimento e appoggio a uomini e animali. Si lasciavano i paesi di provenienza di buon mattino, ascoltata con fede la Messa in Chiesa. Vi si ritornava stanchi, ma contenti, dopo il tramonto. Attualmente quei casoni, crollato il tetto, si mostrano ruderi, in grado di esprimere ancora, però, particella di meritato orgoglio. In occasione di vendemmie o mietiture risuonavano intorno lieti canti, ritmo al duro lavoro. Sul fuoco cuocevano polente in grandi paioli di rame. Braccia forti ed esercitate movimentavano senza posa la gialla massa, via via più profumata, per sapiente appetitosa cottura. Fumi e suoni armoniosi, a conforto e sprone, salivano tenui al cielo. La pausa raccoglieva amicizie e parentele in gioiose compagnie. Non raramente ci si stringeva un po’ per far posto al viandante o all’indigente. Nessuno era mai solo; tutto veniva condiviso. Giovanissimi ed anziani associati a sostegno gli uni degli altri. Testimonianze e conforto; riscontro e prospettiva di forza complessiva, compattezza operosa. Generosità ed altruismi: costruttive virtù esistenziali di umanità e religione.
Il Rio Ottone scorre in un solco ampio, profondo ed insidioso, specie in occasione di temporali estivi. Qualche ora di pioggia intensa è sufficiente al suo ampio bacino, comprendente l’immenso pianoro di Frassineto, per generare un mostro, forte, implacabile, “ebbro e mugghiante”. Verso la foce si depositano alcuni suoi effetti di rabbia e pazzia: massi grandi, ma abbastanza regolari, un tempo recuperati in parte (quelli più piccoli, ma non troppo), e utilizzati nei muri a secco. Indicibili fatiche, ma conseguenti superlative opere d’arte rurale, sparse ovunque. Risalire l’antica mulattiera, intinge nella natura ed immerge il fruitore nelle meraviglie del paesaggio. Un sogno ad occhi aperti. Cessate le piogge il torrente riprende i suoi simpatici connotati. Torna il “travaglio usato”. Il martin pescatore deve mantenere la sua famiglia. Altrettanto il merlo con i suoi “schiocchi”. Non mancano “frusci di serpi”, “pruni e sterpi” di cui alla celebre poesia di Montale (1896/1981). La volpe notturna si aggira agile e prudentissima. Brillano gli occhi di chissà chi in mezzo ad erbe e fiori. Nella zona di Ottone Soprano Vecchio (ora rudere), un ambiente paludoso, detto “Lago”, richiama nuvole di beccacce, subito in azione tra fanghi e cespugli. Una valletta, dunque, molto popolata, dove anche il cinghiale viene spesso in visita. L’acqua del torrente alimentava diversi mulini di cui ho scritto su queste pagine nel 1996. Tra quelli sopravvive, perfettamente integro, alla foce del Rio Ottone con la Trebbia il monumentale mulino, detto dei Doria. Il “bottazzo”, bacino artificiale, a monte creava una sufficiente scorta d’acqua e consentiva al torrente con portata non sempre abbondante. di far ruotare quell’enorme ruota che movimentava addirittura tre macine in linea. contemporaneamente. Un prodigio! Poco nota la storia della sua smisurata ruota metallica: tra le più grandi del genovesato, da cui proviene. La ruota era stata acquistata dal sig. Casazza Giovanni, ultimo mugnaio, agli inizi degli anni ’60 del secolo scorso, durante un’energica ristrutturazione del suo mulino. Luogo d’origine la valle Scrivia, più precisamente una frazione di Ronco: Borgo Fornari, dove esisteva un mulino non più in esercizio, antica proprietà delta madre del nostro Vescovo Pietro Zuccarino (1951/73). Il Presule, percorrendo la SS 45, nei pressi di Ottone, passava volentieri e talora sostava un po’, davanti a quel disco “che ancora… macina(va) acqua”, come poeticamente lo connota Giorgio Caproni 11912 1990). Un’immensa ruota onnipresente sullo sfondo della sua fanciullezza in valle Scrivia.
Attilio Carboni
(Articolo tratto dai N° 41 del 15/12/2016 e 2 del 19/01/2017 del settimanale “La Trebbia”)
(Fotografie di Fabio Rotondale e Andrea Bagnasco)
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