“Avevo appreso a muovere i primi passi nella cultura dall’ava Teresa Montebruno che saltuariamente si prendeva cura di me, essendo residente nell’omonimo paese o in Genova. Tornava a Campi poche volte all’anno, ma sempre in occasione delle festività di San Lorenzo e della Madonna del Rosario. A lei la mia riconoscenza e il mio affetto…
.. .Venne intanto a Campi un giovane curato, certo don Giovanni Cazzola, a coadiuvare il Reverendo Prevosto Don Carlo Baracchi il quale morì qualche tempo dopo in età di anni 96. Fu quando il Regio Governo Sardo mise le scuole obbligatorie che furono date di preferenza ai Parroci e quella del nostro paese, nello specifico, al suddetto prete Giovanni (1846).
Non vi era in paese locale idoneo ad essere definito aula scolastica. Don Giovanni, celebrata la Messa alle ore 8,00 e recitate in ginocchio le preghiere di cui al “gratiarum actio post Missam” (Azione di ringraziamento dopo la Messa), ci radunava in Sacristia. Ci si sedeva sopra la predella del guardaroba, degli inginocchiatoi… Sul ripiano dei paramenti; sulle cassapanche, su sedili di fortuna, su sedie portate da casa… Da quelle precarie postazioni abbiamo imparato a “leggere, scrivere, far di conto”, incorniciando, anche a turno, un tavolo, antico e traballante. Ci si arrangiava, ma sempre nell’ordine rigoroso; nel rispetto, nella disciplina. Trascorso un anno passai la prima elementare “cum laude”. Avevo imparato a memoria la grammatica italiana ed ero divenuto così istruito in aritmetica da poter gareggiare, per certi aspetti, con il Maestro. Nell’anno successivo il programma prevedeva, tra l’altro, grammatica latina. Appassionatomi alla gloriosa lingua di Roma antica e della Chiesa, tanto bene ne apprendevo i suoi elementi essenziali da indurre il Reverendo Insegnante a piangere di soddisfazione, in occasione di una memorabile pubblica interrogazione. Il 3° anno quell’ottimo Sacerdote fece di tutto per istruirci nello scrivere, specialmente nel comporre lettere, onde poter esternare i nostri pensieri con efficienza, efficacia; massima grazia. Fui quindi licenziato dalla scuola perché, si disse: “ha imparato più di ogni possibile previsione ed auspicio”.
Anni dopo Carlo Francesco Carboni si trasferì da Campi a Ottone, nel palazzo degli antenati, in piazza della Chiesa, dove ancora risiedono alcuni dei suoi discendenti. Uomo dì “multiforme ingegno” viene qui ricordato per essere diventato eccellente imprenditore. La prima fabbrica della zona, un grande pastificio, alimentato a gasogeno, poi elettrico, sorse per sua iniziativa: “Premiato pastificio Carboni Carlo e figli (Attilio ed Emilio) “. Le macchine furono acquistate in Germania nel 1885 e trasferite in Val Trebbia “a pezzi”, per essere rimontate in loco, date le loro dimensioni e peso. Numerosi ottonesi percepirono i primi stipendi, novità assoluta nella storia dell’alta valle, come lavoratori della sua azienda. Poterono impostare, di conseguenza, la loro vita su ben altra base di presente e prospettiva. La pasta prodotta era diffusa per la vendita da Bobbio a Torriglia; Santo Stefano d’Aveto e Rezzoaglio… Il trasporto spesso avveniva a dorso di mulo: non tulle le frazioni dì montagna, infatti, disponevano di carrozzabili, ma continuavano a fruire delle loro antichissime mulattiere.
Attilio Carboni
Testo tratto da un manoscritto dell’alunno Carlo Francesco Carboni (1838/1917)
(Articolo dal N° 34 del 20/10/2016 del settimanale “La Trebbia”)
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