A Ottone si trova una delle più antiche campane del Nord Italia. Ora “a riposo” nel locale Museo di arte sacra, per doveroso ossequio, sicura tutela, facile fruizione.
Rappresenta l’elemento più significativo ed interessante di quella pur vasta e pregevole raccolta di antichità religiose.
La campana era stata collocala sulla torre romanica della Chiesa plebana di San Bartolomeo nel 1355, retaggio ed espressione di Bobbio Vescovile, detentore feudale/religioso della zona. Segno evidente dell’importanza, forza economica e prestigio della località a dominio della valle, lungo la mulattiera medievale tra Piacenza e Genova (Caminus Januae). Centro di snodi ed articolazioni viarie; sosta, accoglienza, ricreazione per uomini ed animali. Un suono, il suo, a conforto e riferimento del residente, del viandante. Sollievo e sostegno, soprattutto, negli eccessi delle stagioni, durante il viaggio faticoso ed impegnativo, tra pianura e mare. Un “faro acustico” attraverso le dure giogaie dell’Appennino, troppo spesso aspre ed insidiose.
Campana di ottima fattura rinvia ad un artista/artigiano di notevole capacità e competenza. Bravo nel disegno, attento ai dettagli, padrone assoluto delle varie rasi di costruzione. Concepito e realizzato nel XIV secolo, precorrendo i tempi dell’arte, un singolare manufatto dalla forma sinuosa, svasata; molto piacevole, quasi barocca. La “didascalia”, apposta intorno all’orlo di cupola “Me fecit Joannes de Pontremolo A.D. MCCCLV” dispiega stupendi caratteri gotici in morbida fascia. Ricamo armonioso, cornice leggiadra. Prezioso ornamento e decoro. Bellezza e grazia. Degno strumento della Terra che parla al Cielo con gentilezza di linguaggio e giusto approccio. Illumina col suono dell’infinito. Esorta tutti gli uomini a guardare dentro di sé e fuori, con nuova prospettiva; forza, coraggio. Una campana che ha scandito, puntuale nei secoli, le ore del Cielo e della Terra in alta valle.
Il maestro Giovanni è l’artefice, noto, di alcune campane del parmense. Provengono da Pontremoli altri maestri campanari che hanno operato in Provincia di Piacenza nel lo stesso periodo.
L’arte campanaria rasentava la magia in relazione a procedure, materiali ed effetti d’amalgama. L’artista doveva conoscere bene i metalli e i loro misteri. Per costruire le campane sono necessarie un po’ meno di 80 parti di rame; un po’ di più di 20 parti di stagno e qualche altra sostanza di complemento, utile rinforzo strutturale. La delicatezza e complessità dei tempi e dei modi della fusione; la concezione delle forme e la conseguente relativa tonalità,
esprimono l’erudizione e il virtuosismo dell’operatore. Una professionalità affinata presso qualche buona bottega artigiana, accresciuta nel tempo sul campo.
Le campane non venivano, in genere, fabbricate in un luogo specifico ed esclusivo, ma dove avrebbero trovato la loro collocazione. C’erano, tra altri, comprensibili timori a garanzia dell’integrità di quei delicati prodotti, durante il trasporto, non certo pensabile, a “dorso di mulo”. Erano i maestri campanari a doversi spostare con attrezzature, collaboratori, materiali. Circostanza che aggiungeva spese alle spese, faceva lievitare i costi. Il rame occorrente per la campana di Ottone potrebbe essere stato fornito da Rovegno, centro minerario d’importanza, tra Liguria ed Emilia. Le miniere, qualche centinaio di Km nel ventre del monte Linajolo, a ridosso del paese, erano note per l’abbondanza e qualità del loro metallo. Furono in funzione dal X secolo a.C. fino alla seconda guerra mondiale. Altri interessanti manufatti in bronzo antico sono stati rinvenuti presso il castello di Zerba. Si tratta di “armille”, ovvero anelli a vario diametro, molto rustici. Collegati tra loro da strisce di cuoio fungevano da armature. Dette armille sono attualmente conservate nel museo di Castello Sforzesco a Milano.
Attilio Carboni (da Bancaflash PC n. 159)
(Articolo tratto dal N° 34 del 22/10/2015 del settimanale “La Trebbia”)
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