Il cantante rock fuggito da Genova per coltivare fagioli in val Borbera

Albera Ligure è un minuscolo comune in Val Borbera, Cascina Barbàn è una microazienda agricola, nata due anni fa. Maurizio Carucci e Martina Panarese sono due ragazzi, 34 anni lui, 28 anni lei, nati e cresciuti in città, a Genova. Per entrambi Cascina Barbàn è il frutto di una esigenza di cambiamento, di ricerca di ritmi diversi, di un contatto con la natura. Maurizio è il cantante degli Ex-Otago, gruppo indie genovese attivo dal 2002, l’ultimo album- In capo al mondoèappena uscito. Ha iniziato ad avvicinarsi al mondo agricolo intorno ai 20 anni: «Ho deciso di andare a lavorare in campagna perché mi sentivo inquieto, in città non riuscivo a trovare la mia dimensione. Sentivo che la vita preconfezionata cui un po’ tutti siamo stati indirizzati non faceva per me, le uniche certezze che avevo erano la mia grande passione per la natura, nata quando ero bambino, e una forte curiosità verso il mondo agricolo. Così ho cercato di approfondirle e portarle avanti. Riesco in questo modo a coltivare le mie due passioni, la musica e la natura». Ripercorre mentalmente il suo percorso e aggiunge: «L’esperienza che ha segnato la mia nuova strada è stata la collaborazione con l’Agriturismo La Sereta, nella Valle Scrivia ligure, a pochi passi dal Piemonte. Qui ho imparato tanto, ho toccato con mano alcuni concetti importanti come la grande differenza tra agricoltura biologica e naturale, l’attenzione alla qualità e non alla quantità ». L’altra anima di Cascina Barbàn è Martina: grande passione per la natura, ma vissuta da “cittadina”, limitata a camminate e scampagnate. «Ho studiato a Genova come grafica, poi ho lavorato in uno studio; mi piaceva, ma non amavo quella “cattività lavorativa” legata agli orari d’ufficio, mi sentivo limitata e stanca. Ho conosciuto Maurizio, che lavorava in agriturismo, e insieme a lui ho iniziato ad assecondare la mia passione per la vita all’aria aperta e mi sono avvicinata al mondo agricolo. Un mondo per me inedito. Devo dire che mi è piaciuto molto e mi sono sentita, da subito, coinvolta».
In Cascina Barbàn la mattina ci si sveglia seguendo i ritmi della luce, in inverno con più calma, mentre d’estate alle 5.30 si è già operativi. La scelta di vivere in campagna non significa però diventare eremiti, anzi con la città Maurizio e Martina hanno mantenuto un legame fortissimo. Da un lato Genova è una buona piazza in cui vendere i loro prodotti (forniscono numerosi Gas, gruppi di acquisto solidali) e dall’altro la frequentano perché gli piace, perché a volte ne sentono la mancanza, perché ci sono i loro amici e perché in città ritrovano tante cose che ancora in campagna si trovano più raramente: la cultura, la musica e l’arte. Perché Albera Ligure? Racconta Martina: «Abbiamo girato tutto l’entroterra ligure e un bel po’ di basso Piemonte e, alla fine, quello che ci ha portati qui è stata proprio la fagiolana bianca di Figino. Mentre stavamo cercando un posto adatto al nostro progetto, un amico che ha un banco di frutta e verdura sul mercato a Genova, ci ha chiesto se lo potevamo accompagnare ad Albera Ligure alla ricerca di questa fagiolana. Lungo la strada abbiamo visto un cartello di vendita e ci siamo avventurati a vedere il terreno e il rustico; inutile dire che ci siamo innamorati subito di questa vallata meravigliosa, abbiamo comprato il terreno e iniziato i lavori». Racconta, ancora Martina con entusiasmo: «La radura era tutta sterpaglie, non è stato semplice pulire, preparare il terreno e iniziare a coltivare, ma ce l’abbiamo fatta. Adesso stiamo finendo di ristrutturare il rustico in cui viviamo e stiamo portando avanti la nostra idea di vita».
In Cascina Barban i prodotti di punta sono quelli dell’orto, il cavolo navone, la patata quarantina, cipolle, cavoli, piselli, fave. Naturalmente è la fagiolana bianca la vera protagonista, un prodotto a cui i ragazzi danno molta importanza, perché è una varietà antica e perché qui riesce ad esprimere al meglio le sue qualità. Un lavoro interessante che si sta facendo qui è legato al grano: si piantano solo varietà antiche, sulla scia delle ricerche di Salvatore Ceccarelli, professore di genetica, teorico della selezione partecipativa ed evolutiva delle sementi. Un metodo che vuole coinvolgere gli agricoltori nella sperimentazione empirica delle sementi più adatte al loro territorio. L’obiettivo è il recupero dei grani antichi, di qualità migliori rispetto alle selezioni moderne, per dare il via ad una agricoltura più evoluta e consapevole. Quest’anno in Cascina è stata fatta la prima vendemmia, e anche in questo caso la scelta è stata quella della varietà. Il vino è il risultato dell’uvaggio di 15 vitigni autoctoni della zona recuperati quasi tutti da vigne antiche, alcune anche di 60-70 anni Il risultato è un vino rosso, chiamato Rosso Nativo .
Il progetto è ancora agli esordi, ma in movimento. Per il futuro sono in previsione laboratori e didattica. Perché per i nostri protagonisti, alla base del lavoro agricolo deve esserci il contatto con il pubblico. «Il termine consumatore – spiega Maurizio – non ci piace, preferiamo mangiatore perché il consumatore, per definizione, consuma, in maniera compulsiva. Il mangiatore invece è consapevole, conosce quello che mangia. Non amiamo gli intermediari e ci piace l’idea di fare educazione alimentare: la maggior parte delle persone che vivono in città non conoscono più la stagionalità dei prodotti e i metodi di coltivazione. Io, in quanto contadino, devo conoscere perfettamente ciò che coltivo, come lo coltivo, e devo saper spiegare il mio metodo di produzione e le caratteristiche del mio prodotto. Riuscire a far scoprire qualcosa di nuovo al mio acquirente, fornendogli strumenti concreti per capire come scegliere cosa avere nel piatto, è una delle soddisfazioni che offre il mio lavoro».
Le idee a Martina e Maurizio non mancano. Sono giovani che hanno scelto una vita in campagna portando le loro conoscenze maturate in altri campi, elementi essenziali per un nuovo modo di intendere l’agricoltura che sta conquistando tanti coetanei.

storiedipiemonte@slowfood.it

Carlo Petrini

(Articolo tratto da La Repubblica del 13/04/2014)

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