Cabanne in Val d’Aveto merita, tra tutte le località ben note del contesto, un discorso a parte. Originario di Cabanne era anche il famoso marinista Scipione dei nobili della Cella (1540-1609).
Il paese, sorto sopra un terreno (anticamente si dice che si specchiasse in un grande lago, diventato ormai “La piana di Cabanne”), che oggi è un tappeto erboso, in parte ancora coltivato, è tutto da scoprire anche per il suo etimo e la sua microstoria. Il turista non può non fare una sosta e magari una passeggiata per ammirare il sito unico e spettacolare. Non ci sarebbe oggi bisogno che gli antichi Romani costruissero qui un grande anfiteatro, perché Cabanne è il palco di un anfiteatro naturale. Ma, forse, pochi sanno che la stesso vocabolo “Cabanne” trova il corrispettivo in Chabannes, nel Limousine in Francia (quest’ultima località è famosa per aver dato i natali al monaco Ademaro di Chabannes, vissuto a cavallo tra primo ed il secondo millennio). Ademaro è conosciuto per la trascrizione delle Favole di Esopo (illustrate).
Lo studioso si può domandare che cosa mai significhi “Cabanne” , che i vecchi chiamano ancora oggi più propriamente “Cabanna”. Se ci rifacciamo all’inglese, dove” ban” vale “escluso” o “proibito”, scopriamo che una “Cà Banna” dovrebbe essere una casa isolata ed lontana dalle altre. Così è pure per Chabannes e lo stesso Ademaro viene definito i dai coevi “cabannensis”. Ecco allora che le due località Cabanne in Liguria e Chabannes, poco distante da Limoges, hanno la stessa etimologia. Sostengo questa ipotesi anzitutto perché la “cabanna” (in francese “hutte”), era una costruzione che non poteva, in teoria, ospitare più di una persona, come scriveva già Isidoro di Siviglia nel sec. VII (“quod unum tantum capiat, che contenga soltanto uno”) ed era quindi ben poco visibile, ma ciò che mi fa propendere per tale teoria è ancora altro. Il lago di Cabanne e Parazzuolo (dialetto “Parasèu”, lett. che “ripara il suolo”) doveva essere piuttosto pericoloso e, a tratti, paludoso. Gli abitanti circostanti avevano bisogno, in qualche modo, di crearsi dei ripari e delle case poco visibili, o se si vuole, come dicevo, rimosse dal contesto dei più.
Le conclusioni di questa breve ricerca di studio sul paese non rappresentano, comunque, qualcosa di sicuro e infalsificabile. Gli addetti ai lavori avranno senz’altro delle osservazioni da fare. Io, però, ci credo, poiché, nella storia , sempre c’è posto anche per un po’ di sentimentalismo. Vale allora il proverbio “Due cuori e una capanna”. Arrivederci a Capocabana!
Piero Campomenosi
(Articolo tratto dal N° 15 del 10/04/2014 del settimanale “La Trebbia”)
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