È la primavera del 1946, quando la BBC trasmette un messaggio in sole 32 parole: è la voce di Bruno Andrea Stombellini di Corte Brugnatella, classe 1920, che annuncia al mondo, ma soprattutto ai suoi cari che è vivo e presto farà ritorno alla sua famiglia, dal padre e dai fratelli ancora piccoli.
La guerra è finita da un anno, ma lui è ancora prigioniero a Londra, la mamma invece, appena 50enne, si è spenta l’8 Settembre 1944, stroncata dal dolore insopportabile per quel figlio lontano di cui non conosce la sorte. Mamma e figlio si erano salutati sulla strada di Marsaglia il 24 Maggio 1939 e l’ultimo abbraccio, carico di lacrime, era stato il presagio di un addio. “Forse non ci rivedremo più” aveva sussurrato lei al figlio, che partiva per il Distretto militare n.2 di Piacenza.
Formato come operatore del genio minatori, Andrea Bruno Stombellini viene inviato prima a Novi Ligure, poi ad Arquata Scrivia, dove entra a far parte della VI compagnia, IV armata; inizia così l’ odissea nella bufera della storia.
Una storia di nostalgia, di paura, di sofferenza e di morte che 50 milioni di esseri umani di ogni ceto e di ogni età non potranno mai raccontare. Nell’estate 1941, quando per molti soldati si profila come destinazione la campagna di Russia, Andrea invece viene trasferito, insieme al suo reparto, in Sicilia con il compito di guardia ad un deposito di esplosivo presso Agrigento, proprio nella valle più bella del mondo, quella dei Templi, dove si occupa della costruzione di un rifugio a Porto Empedocle.
Grazie a competenze manuali e tecniche apprese da vecchi minatori di Marsaglia, il soldato Andrea riesce a scavare una roccia che sembra impenetrabile e ottiene stima e riconoscimento dai superiori.
I mesi trascorrono in una calma apparente, ma all’improvviso gli eventi della storia irrompono drammaticamente nella vita quotidiana: gli Americani sbarcano in Sicilia e il 16 Luglio 1943, Andrea viene catturato e successivamente consegnato agli Inglesi a Gela e da qui imbarcato per Tunisi. Percorre in parte a piedi e in parte in treno la costa Africana per giungere infine ad Algeri, dove rimane fino al gennaio del ’44, al campo 211. Ormai la sua vita non gli appartiene più, è prigioniero degli Alleati e il suo compito è soltanto quello di obbedire e tacere. La prigionia inglese, tuttavia, non è crudele, i soldati sono trattati con umanità e informati degli avvenimenti che riguardano il loro paese. Attraverso le trasmissioni via etere dell’VIII armata Bruno viene a sapere della caduta del fascismo, avvenuta l’8 Settembre 43, della resa incondizionata dell’Italia ed ha una sola speranza: quella di ritornare a casa. Di ora in ora aspetta un segnale, ma l’attesa diventa lunga ed estenuante e, quando il 18 Gennaio ’44, giunge l’ordine di imbarcarsi, grande è la sua concitazione tra gioia e timori, un’alternanza di stati d’animo che Stombellini non ha mai dimenticato.
La navigazione procede nel ventre della nave, dura 18 giorni e 18 notti tra dubbi e interrogativi assillanti, tra allarmi e bombardamenti, fino a quando i prigionieri vengono sbarcati, ma non si trovano sulle assolate spiagge Italiane, bensì sulle brumose coste Scozzesi. Perso ogni collegamento con la famiglia, con il cuore colmo di emozioni contrastanti, Andrea Bruno Stombellini inizia in territorio scozzese un nuovo periodo di vita, fatto di lavoro, di disciplina, ma anche di rispetto e di integrazione. Svolge compiti di guardia a depositi di munizioni e per questa attività viene pagato e, con le prime sterline guadagnate, il giovane soldato italiano prigioniero acquista un dizionario e una grammatica per imparare l’inglese, consapevole che l’apprendimento di una lingua straniera è il primo gradino sulla via della libertà. Si ammala per ben due volte agli occhi e viene curato con grande professionalità e nuovi farmaci all’ospedale di Edimburgo e qui riceve per la prima volta la corrispondenza dall’Italia. Conosce così il grave lutto che l’ha colpito: la morte della madre.
Soltanto a maggio del ’46 può tornare in Italia, parte il 18 in nave e giunge a Napoli il 22 e da qui risale in treno la penisola fino a Piacenza, arrivando a Marsaglia, dove è accolto da un paese in festa, che rivede dopo un lungo tempo un suo figlio ritenuto disperso.
Questo racconto lucido e puntuale, tante volte narrato oralmente in famiglia, senza rancori, né risentimenti, anzi, quasi con ammirazione verso gli Inglesi, è dedicato da Andrea Bruno Stombellini a Piera, la sua figlia adorata, che, dopo lunghe sofferenze, a soli 63 anni, ha lasciato questa terra per il regno dei cieli e di cui si sono celebrati i funerali sabato 23 febbraio 2013.
Silvana Mozzi
(Articolo tratto dal N° 10 del 07/03/2013 del settimanale “La Trebbia”)
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