Sul grande marmo bianco che fa da sfondo alla statua dei due alpini, nel monumenti ai Caduti di Bobbio, sono incisi 104 nomi di soldati, ufficiali e ufficiali che su diversi settori del fronte caddero «perché il tricolore sventolasse su Trento e Trieste nella grande guerra del 1915 – 18. Si aggiungano ad essi, in numero ben maggiore, coloro che nel conflitto rimasero feriti o risultarono dispersi. Il conto totale, pur riferito ad una zona tanto piccola, è pur sempre enorme. Centinaia e centinaia le famiglie toccate dalla tragedia, così come tanto numerosi furono gli orfani. nella ricorrenza dei 70 anni dall’inizio della grande guerra, si vorrebbe con questa rievocazione portare un contributo al moto popolare con cui si vuole ripristinare la ricorrenza del 4 novembre come festa nazionale più importante del nostro calendario civile. La sconcertante decisione di annullarla facendola anticipare o posticipare rispetto alla domenica ad essa più vicina, è ancora una ferita nel cuore degli Italiani che in maggioranza si sono espressi affinché il 4 novembre riassuma il significato di tutte le altre ricorrenze, nel nome dei soldati che per la «Quarta guerra del Risorgimento» più di tutti e più a lungo, soffersero per tre anni il martirio della trincea, della lotta disumana, della distruzione e del dolore.
Il conflitto con l’Austria fu detto anche la guerra che cambiò gli Italiani. Mutamente avvenne anche per la piccola società bobbiese che solo di riflesso aveva avvertito nei primi anni del secolo il clima della «belle epoque» e che improvvisamente si trovò protagonista della solidarietà di massa.
Uomini e vicende di Bobbio della Grande guerra ci vengono quasi giorno per giorno riferite dalla stampa locale. Si pubblicavano a quel tempo due settimanali, La Trebbia, organo della Curia vescovile, fondata nel 1903, e Il Penice – uscito con il numero uno il 6 maggio 1910 – dichiaratamente antagonista al primo (le loro polemiche spesse aspre alimentarono, per oltre dieci anni, la curiosità e l’animosità delle opposte fazioni)- A noi interessa qui il loro atteggiamento rispetto alla situazione internazionale nella imminenza del patto dell’aprile 1955 fra l’Italia e Intesa e, nelle annate seguenti, il loro tono sostanzialmente identico, nel riferire l’andamento della guerra e le notizie provenienti dal fronte, soprattutto quelle relative ai soldati dell’interno del circondario di cui Bobbio era capoluogo.
Dai due colpi di pistola di Sarajevo al maggio successivo il mutamento dei due fogli tende all’esaltazione sempre più netta del nazionalismo, senza riguardi de La Trebbia verso la cattolicissima Austria, neppure accennando II Penice al fallimento della terza Internazionale. Unisona esaltazione per l’entrata in guerra. Si ricalcolano gli indirizzi dell’opinione pubblica nazionale e in campo locale si riportano le notizie ufficiali per i richiami delle classi, per le partenze dei soldati, del saluto degli scolaretti e delle autorità. Non si fa cenno all’angoscia di madri e spose. C’è l’illusione che la guerra breve. I soldati scrivono lettere di ingenuo entusiasmo, accennando alle difficoltà, ai pericoli, omettendo accuratamente i nomi dei rispettivi reparti e dei luoghi da cui scrivono – «…. per scrittoio, un masso nero…»-, firmano a gruppi, di amici, di compaesani.
Con evidenza si ricorda la partenza dei cinque fratelli Pietra: Gino, medico (padre di Italo Pietra), Attilio, Tito, Guido e Romeo che cadrà ben presto sotto il piombo nemico. 11 Penice dà notizia del primo ferito, Marco Draghi, Marchin, di Piancasale, a cui aggiungono altri nomi di feriti durante le battaglie sul Carso e sull’Isonzo. Fra questi è compreso Giuseppe Maggi (padre dell’attuale sindaco), tuttora vivente e vegeto, che ricorda ancora con raccapriccio i numerosi assalti all’arma bianca, sotto fittissimo fuoco nemico.
La Trebbia, che organizza un pellegrinaggio al santuario del Penice, riferisce il 2 giugno la morte del primo soldato bobbiese, Giovanni Rossi di Santa Maria, caporale degli alpini, caduto sul monte Marlivker. Seguono ben presto i nomi di Giovanni Sartori e Stefano Dardi e poi Luigi Malacalza. Commozione enorme suscitò la morte di Medardo Agnelli, caduto il 21 luglio. Era caporale degli alpini ed aveva 36 anni e apparteneva quindi ad una classe molto esperta. Prima dell’assalto aveva ascoltato la messa e si era avviato assieme ad altri 4 commilitoni alla conquista di una posizione nemica quando un shrapnel colpì in pieno il gruppetto . Madardo Agnelli morì durante il trasporto in barella. Una lettera di un altro bobbiese – Francesco Ragaglia – ne diede notizia mediante una lettera che per errore fu letta per prima dalla figlioletta del caduto, Rina, di sette anni, la maggiore di altri due bambini. Ad essi si aggiungerà la nascitura che prenderà il nome del padre. Alla cerimonia funebre prese parte tutta Bobbio; la stampa nazionale riprese il fatto.
Gino Macellari
(Articolo tratto dal n° 37 del 25/10/2012 del settimanale “La Trebbia)
Related Posts