Ottone (dialettale: Autun), toponimo, in celtico “guado”, come il più noto Autun, nella valle dell’Arroux, in Borgogna. Nella nostra zona, infatti, si intrecciavano camminamenti, sentieri, strade antichissime, tra il mare e la pianura padana; dal genovesato e dal levante ligure al pavese, all’alessandrino (molti secoli prima della fondazione della stessa città). Punto di riferimento obbligatorio, in quanto raro guado possibile, per lungo tratto a monte e a valle. Sosta necessaria prima di affrontare nuove dure ascensioni sull’opposta sponda della Trebbia. Al Dego (verso la val d’Aveto, la val Nure, la val di Magra), all’Alfeo (val Borbera/Scrivia, Piemonte), al Lesima (val Staffora, Lombardia).
Non raramente, nei pressi dell’incrocio del torrente Ventra con la Trebbia, o dalla sua parte opposta, nel tratto di fiume dove, appunto, si colloca l’antico passo tra le due sponde (consenzienti gli umori di più abbondanti e capricciose acque di quelle odierne), tempo e circostanze favorevoli hanno restituito, talvolta, residuati grossolani in cotto, pietre più o meno rozzamente squadrate, a composizione di muri, piloni, basamenti…testimonianze, forse, di opere fluviali per la protezione, il sostegno al passaggio.
I Liguri molti secoli prima di Roma e dell’era cristiana, frequentavano l’ottonese o ne avevano una stabile dimora, fotografie aeree documentano tracce di insediamenti a loro riferibili nella conca di Toveraia inferiore. Scavi nel sito di Zerba hanno rintracciato importanti sepolcreti.
Le cime dei monti citati sono state i luoghi privilegiati del culto per i nostri lontani antenati.
I Liguri, infatti, non costruivano templi, come gli altri popoli, ma le sommità più significative erano ricercate mete per l’esercizio e la fruizione di semplici, coinvolgenti religiosità. L’Alfeo (1650 s.l.m.), si prestava più degli altri monti circostanti allo scopo, in quanto da sempre suscita forti emozioni, sentimenti e prospettiva di trascendenza. La vetta, in direzione sud, offre alla vista il suggestivo spettacolo dell’onda che instancabile flagella tormentate coste e si trasforma in candida spuma. A nord l’innevato arco della Alpi incornicia la pianura padana, con vasto orizzonte. Poteva (potrebbe) qualcuno rimanere insensibile a tanta bellezza, a tanta poesia? Il “santuario” dell’ Alfeo era raggiungibile mediante impervi sentieri, in celtico “bar”, “ber”, di cui è traccia nei nomi propri di alcune frazioni del nostro Comune, poste lungo il cammino, quali Barchi, Bertone, Bertassi. Sentieri talvolta inghiottiti da faggete profonde, buie. Temibili per passaggi in precario equilibrio tra rocce aggettanti ed improvvise profondità. Mirabili sullo sfondo delle stagioni del cielo e della terra; nello splendore di colori, di suoni, di aromi che brezze sapienti sempre miscelano ed ovunque diffondono.
Il territorio di Rovegno, oggi Comune sovrastante quello di Ottone, in provincia di Genova, forniva ai Liguri abbondanza di rame, minerale ancora estratto nei primi decenni del secolo scorso. L’età del bronzo ha scritto importanti pagine della sua storia nell’alta valle in quanto la fusione del rame con lo stagno, proveniente dalla Toscana, avveniva presso le nostre miniere. Le selve circostanti offrivano combustibile per alte temperature (legno pregiato di quercia o di faggio): c’era abbondanza di acque; si trovavano con facilità argille adatte a vasellame ed a stampi in cui materializzare nuove forme. L’importanza delle miniere, la lavorazione del rame, la fusione del bronzo, la produzione di manufatti, ad uso civile e militare, sempre più richiesti, anche da popolazioni lontane, non può non aver richiamato traffici e commerci, crescita demografica e sviluppo di un sistema viario di valore.
Sembra, pertanto, avere un qualche fondamento la tradizione del passaggio di Annibale con il suo esercito dalle nostre parti, lungo le vie dei metalli. Riferiamo, comunque, che ogni paese dell’alta val Trebbia si sente coinvolto nell’epopea cartaginese. Ecco “il bosco di Annibale”,” la strada di Annibale”, il ponte, la fontana… Si indica la località dove il grande generale si sarebbe ferito ad una mano (laesa manus, stimo (forse), di Lesima, secondo radicata, diffusa convinzione). Si ritiene che Tartago, frazione di Ottone in val Boreca, sia stata fondata da soldati cartaginesi (Chartàgo/ Tartàgo; semplice assonanza o qualcosa di più?). Sembra che il paese Barchi derivi dalla volontà dei fondatori africani di onorare la famiglia del loro condottiero, “Barca”, appunto… E molti altri racconti associati a Suzzi, Zerba, Bogli…
In epoca romana continua lo sfruttamento delle miniere di rame nella zona di Rovegno; sorge l’insediamento di Bobbio o la romanizzazione di precedenti agglomerati; il santuario di “Minerva Medica” a Travo, attrae crescenti pellegrinaggi dal mondo pagano… La valle è percorsa da forte movimento, ramificato in infinite direzioni. Una specie di gigantesca ragnatela di strade a [diversa tipologia deve aver ricoperto l’ampio bacino dell’Aveto/Trebbia, favorendo egli incroci e lungo il cammino la nascita e lo sviluppo di abitati. Il cristianesimo, fin dai primi secoli della sua era, risale il nostro fiume, partendo da Piacenza, e fonda Chiese nelle più importanti località.
La crisi politica, economica, demografica dell’incipiente medioevo, nei secoli V, VI, sprofonda la valle nella rovina e nel soqquadro. L’arrivo a Bobbio del santo irlandese Colombano (inizi del VII secolo), e il rapido espandersi della sua fondazione monastica, riportano fiducia, organizzazione, sviluppo e crescita morale e materiale. Nella zona di Ottone il monastero bobbiese fonda e lungamente detiene la “cella di S. Bartolomeo”, importantissimo riferimento della nostra storia civile e religiosa. Le celle erano, infatti, luoghi di preghiera, ma anche aziende agricole di alto livello. La nostra gente alla scuola dei religiosi bobbiesi ha imparato a pregare; a coltivare la terra, ad allevare il bestiame, a praticare dialogo e solidarietà illuminata da certezze al di là dell’apparenza, del contingente. Ha terrazzato la montagna, trasformandola, per quanto possibile in pianura. Si è occupata della vigna, del frutteto, delle piante medicinali… Ha ricostruito le case, i paesi, le strade… Sotto la guida dei religiosi la “selva selvaggia” dei nostri monti è diventata bosco ordinato; campo di grano flessibile, biondo; dispensa generosa… L’istinto si è moderato nel sentimento, sublimandosi nella ragione e nella fede. Con il nuovo millennio il sistema monastico, politico-amministrativo di Bobbio, viene affiancato o sostituito, da quello vescovile, della stessa città.
Il monastero di San Colombano in Bobbio, poco dopo la sua fondazione (613), cominciò ad espandersi a monte e a valle della Trebbia, sulle due sponde del suo fiume. Tra le pertinenze più antiche vengono ricordate le terre e gli insediamenti di San Martino, San Salvatore, San Giacomo, San Bartolomeo, Santa Maria, Sant’Ambrogio, Sant’Anastasio. Pertinenze bobbiesi “infra vallem”, o “cellae” monastiche come vengono designate nelle antiche carte che le riguardano. A lungo si è discusso sulla precisa localizzazione dell’ oraculum Sancti Bartholomei e non sempre si era stati propensi ad identificarlo in San Bartolomeo di Ottone, Chiesa e circostante territorio. Ora non sembrano esserci più dubbi. Gli storici del monastero, con studi e considerazione complesse che esulano dal presente articolo, ne sono finalmente convinti. Comunque, durante recenti lavori di restauro al campanile romanico della nostra chiesa cimiteriale è comparsa un epigrafe, in carattere capitale rustico: “oraculum Sancti Bartolomei”. Inoltre, possessi spettanti con certezza a Bobbio monastico, l’attuale territorio delle parrocchie di Ottone Soprano e Fabbrica, dopo la decadenza del cenobio ed il passaggio di molti suoi beni al Vescovado (sec XI), vennero a far parte subito della diocesi bobbiese, rimanendole legati fino ai nostri giorni.
Nell’archivio parrocchiale di Ottone si fa cenno a diffusa tradizione orale secondo la quale in tempo non ben precisato un’enorme frana, staccatasi dal monte Veri, tra il rio Sgambarà e il rio Ottone, trasportò a valle enormi quantità di materiali che andarono ad appoggiarsi alla sponda opposta della Trebbia. Il fiume, tagliato in due dall’improvviso sbarramento, formò un ampio lago, solo in seguito rimosso, ad opera di piene robuste. Il sito detto “Fornace”, appunto tra i rii, Ottone e Sgambarà, sarebbe ciò che resta di detta frana. In effetti si tratta di terreno alluvionale, come chiaramente emerge dall’azione erosiva dei torrenti che gli corrono paralleli a levante e ponente. Si tramanda, inoltre, che andasse distrutto dalla frana l’insediamento civile (coloni, dipendenti del monastero, enfiteuti…), costituente il primitivo Ottone, diretta dipendenza di Bobbio monastico. L’antica chiesa di San Bartolomeo sarebbe invece miracolosamente rimasta intatta. Solo in un secondo tempo il paese sarebbe stato ricostruito in posizioni più sicure, ma in due distinte località: più in alto l’insediamento detto Valle (ora diruto), poi confluito nell’attuale Ottone Soprano; in basso, in direzione sud, Ottone (Inferiore). Ognuna con una sua diversa storia e diversi riferimenti ecclesiastici. Ottone Soprano (Valle), Semenzi, Monfagiano, l’antica Cella monastica di San Bartolomeo, con la Diocesi di Bobbio. Una popolazione operosa impegnata nel lavoro agricolo e nell’allevamento del bestiame, nella cura di ottimi vigneti, nella produzione di ottimi vini. Ottone (inferiore), con la Diocesi di Tortona, da cui si staccò solo dopo il Congresso di Vienna, per associarsi a Bobbio, insieme alle parrocchie di Orezzoli, Vico Soprano e Mezzano, Alpepiana… Una popolazione attiva soprattutto nei traffici e nei commerci, nei servizi. Un centro importante di riferimento per tutto il suo vasto comprensorio, sede di fiere e mercati molto affollati. Un paese sorto presso il guado sulla Trebbia e, negli ultimi due secoli a cornice della strada Piacenza-Genova, supporto e sostegno al suo notevole transito.
Ancora qualche decina di anni or sono, dagli abitanti di Ottone Soprano veniva indicata senza incertezze l’inizio della storica frana. L’intero lato del monte Veri precipitando a valle, aveva talmente inciso la roccia a cui era associato da segnare per i secoli a venire una cesura mai più rimossa.
Negli anni ’60 l’allora parroco di Ottone mi leggeva un antico manoscritto, conservato nell’archivio della canonica, in cui un sacerdote aveva raccolto testimonianze dalla gente della zona di Ottone Soprano circa piogge torrenziali che per molti giorni flagellarono il territorio. Si trattava del ricordo, tramandato da generazione a generazione, di un evento terribile e memorabile, descritto con toni apocalittici, vissuto dai loro antenati, ma chissà in quale epoca storica. Si era talmente inciso nella memoria collettiva che tutti ne riferivano come se fossero stati presenti all’evento. “ … La terra inzuppata all’inverosimile diventava improvvisamente un fiume immane che tutto travolgeva nella sua folle corsa. Ecco vigneti, boschi, case… messi in improvviso, inaspettato movimento, venir risucchiati dalla fanghiglia e precipitati nell’abisso del fondovalle… Il faticoso lavoro di tanti secoli in un attimo era annullato per sempre! Morivano gli uomini, gli animali, le piante. Il suolo mutava aspetto, i torrenti il corso. Un boato di crescente intensità, suscitato da forze oscure, profonde, portava il suo contributo di terrore e disorientamento… Ovunque regnava il pianto e la desolazione…” (Vado a memoria, ma il senso del racconto è rispettato). Con il parroco, talvolta, si ritornava sulla vicenda, azzardando collegamenti con la frana di cui abbiamo parlato. Ci potrà mai essere stato un collegamento?! Credo sia importante, comunque, farne cenno.
Gli storici del medioevo europeo sono concordi nell’indicare i secoli IX/X come inizio del sistematico ripopolamento della montagna, ovunque nel vecchio continente. Nel circondario di Ottone, qualche secolo dopo, risultano già esistenti tutti i paesi attuali (anzi, qualcuno in più). Riporto un documento, datato 28 giugno 1197, molto interessante al riguardo, che li elenca unitamente ai nominativi di alcuni abitanti: Lanfranco e Manfredo de Carexedo (Cariseto), Oberto de Cerba (Zerba), Ardezono e Rubaldo de Locio (Losso), Nigrino, Rubaldo ed Alberto de Monfaxano (Monfagiano), Burgundio de Ottone, Fravego de Fravega (Fabbrica), Johannes de Semenza (Semenzi di Ottone Soprano), Arduino de Fravega (Fabbrica, Frassi), Juliano de Otto (Ottone?), Guglielmo de Fontana (Fontanarossa), Iohannes de Praudo (?), Filanengo de Brugnadello (Cortebrugnatella), Arnoldo de Rosarolo (Rossarola), Bonus Johannes de Casa (La Cà), Girardo de Caurile (Caprile), Oberto de Betolaria (Campi di Ottone), Jaco de Cataria (?), Felegerio de Felegaria (Felegara del Brallo), Marino de Garbarino, Mangino de Cerba (Zerba), Alberto de Ottone, Oberto de Casellis (?), Giberto de Gramiza (Gramizzola), Johannes Clerico de Barco (Barchi), Ugo de Garbarino, Iohannes de Tevolaria (Toveraia), Guido de Clavo (Traschio), Donadeo de Barco (Barchi), Johannes de Otto (Ottone?), Muso de Fontanarubea (Fontanarossa di Gorreto), Ogerio de Alboplano (Alpepiana), Isembardo de Cruce (Croce di Ottone), Ugo de Rovegno…
Attilio Carboni
(Articolo tratto dal N° 6 del 09/02/2012 del settimanale “La Trebbia”)
(La fotografia della chiesa di San Bartolomeo ad Ottone è di Giacomo Turco)
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