«Fu grazie ai sacrifici di mio padre e a quello che riuscì a guadagnare emigrando in America, che noi figli potemmo studiare e godere dì un po’ di benessere». Inizia così il racconto di Marcello Calamari, imprenditore piacentino figlio di Arcangelo Benvenuto Calamari, originario di Boschi in alta Valdaveto, ed emigrato in America agli inizi del ‘900. Classe 1889, Arcangelo Calamari appartiene infatti a quella schiera di piacentini che agli inizi del secolo scorso lasciarono il loro paese per andare a trovare fortuna in America. A differenza di tanti altri, però, Calamari da quell’esperienza in terra straniera riuscì a tornare e a coronare il sogno di farsi una famìglia e avviare un’attività nel suo paese d’origine. «Era originario di Boschi – racconta il figlio – ed era nato in una famiglia molto povera. Il padre, Giovanni, era morto quando lui aveva solo due anni e la mamma, Elena Giuditta Cervini che era originaria di Cattaragna, all’età di soli sei anni lo aveva mandato a fare il pastore ad Ascona, nel comune di Santo Stefano d’Aveto».
La storia di Arcangelo Calamari assomiglia a quella di tanti bambini dell’epoca costretti a lavorare in tenera età per sopperire alle condizioni di estrema povertà in cui viveva la famiglia. «Ad Ascona -continua il figlio – la famiglia dove lavorava lo prese a ben volere e lo tenne con sé anche nei mesi invernali, mandandolo a scuola». Nel 1911 Arcangelo Calamari tornò dal servizio militare dove aveva fatto pratica come infermiere. «Un’esperienza che gli sarebbe tornata utile anche in altre occasioni». A 22 anni il giovane decise di partire per l’America, la terra promessa in cui già una cugina viveva ed a cui chiese un prestito per poter pagare il viaggio. «Ci raccontava – dice oggi il figlio -che la nave partì da Genova e che il viaggio per arrivare a New York durò 40 giorni. I primi tempi fece i lavori più umili, compreso lavare 5mila piatti al giorno. Forse è da questi suoi racconti – continua Marcello, che abita a Piacenza – che ho imparato a non avere pregiudizi verso gli stranieri». Durante quel periodo in America Arcangelo Calamari fece anche il lustrascarpe per poi lavorare nella compagnia dei treni. Nel 1928 decise di tornare in Italia e coronare il suo sogno, ovvero farsi una famiglia e avviare una sua attività. «Alla sagra del paese di Vicosoprano di Genova vide in chiesa tra le ragazze che cantavano Carmela Pareti e decise che quella sarebbe stata sua moglie» ricorda il figlio. Dall’unione nacquero Elena, Giovanni, Marcello e Maria Rosa. «Con quello che aveva guadagnato mio padre acquistò un piccolo podere a Polignano di San Pietro in Cerro e riuscì ad aprire una trattoria con alimentari a Boschi, in un periodo in cui le carrozzabili ancora non c’erano e i rifornimenti arrivavano a dorso di mulo. Grazie al suo lavoro noi figli siamo riusciti a studiare. Lui era un uomo conosciuto in tutta la Valdaveto. Lo chiamavano l’americano per via della sua esperienza all’estero. Inoltre grazie alle sue conoscenze mediche poteva curare gli ammalati e questo lo rese molto benvoluto. Erano gli anni – dice ancora il figlio – della costruzione della diga di Boschi e tra le centinaia di operai c’erano anche dei pregiudicati fatti uscire apposta dal carcere dal governo Mussolini per mandarli a lavorare in galleria a Boschi. In quel periodo – continua il figlio – ci fu anche un omicidio, un operaio di Castagnola venne ucciso in un agguato. Tornando a mio padre, era un uomo molto credente. Tutte le domeniche andava a Messa e ricordo anche che una volta invitò l’allora vescovo di Piacenza a pranzo. Era venuto a Boschi per le cresime e mio padre lo invitò a mangiare contando sull’aiuto della sua giovane moglie».
Mariangela Milani
(Articolo tratto dal N° 14 del 07/04/2011 del settimanale “La Trebbia”)
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