Il confine passa sul penultimo tavolo, al limitare della veranda dell’albergo che ha lo stesso nome del paese in cui sorge: Capanne di Cosola. Un commensale degusta il gelato seduto in provincia di Alessandria, il suo dirimpettaio beve un caffè corretto in provincia di Piacenza. Così distanti e così vicini.
Le battute si sprecano da decenni, da quando il crinale attraversa l’antica locanda. Un cliente: «Parcheggio la macchina in Lombardia, faccio due passi e sono a mangiarmi uno stufato in Piemonte».
Il proprietario dell’albergo, Paolo Callegari: «Della mia abitazione, proprio qui dietro, pago le tasse a Zerba, comune del Piacentino, quelle dell’hotel le pago a Cabella, comune dell’Alessandrino». Il bucato steso al sole sventola sotto cieli diversi. Uscendo dalla locanda e infilando un sentiero da cartolina, con mucche e campanule, si arriva su un cocuzzolo dove tre provincie tagliano a fette, come una torta, la statua di San Giuseppe, che veglia un rifugio.
Capanne di Cosola, sopra Cabella Ligure, è il punto più alto della Val Borbera, quasi millecinquecento metri. Lo storico albergo e alcune case di residenti sì affacciano su un mare di monti liguri-piemontesi-lombardo-emiliani che si stemperano in pianura, ma arrivano fino al mare. Quello vero però, quello che è solo “nostro”, quello di Voltri. Imboccando un viottolo in faccia all’albergo Capanne di Cosola, si raggiunge, con un dislivello di oltre duecento metri, il Monte Chiappo, quella sommità pelata dove le province di Alessandria, Piacenza e Pavia, e più in là quella di Genova, si incrociano. Lambiscono il rifugio le valli Borbera, Curone, Staffora e Boreca. Un crocevia, una apparente confusione geografica. Non casualmente da queste parti transita la Via del Sale, centododici chilometri da Camogli a Varzi, che vede il passaggio di oltre cinquemila persone all’anno, pellegrini che fuggono dalla prigione delle città. Per secoli i liguri salivano dal mare sulle montagne con il sale, scollinavano, raggiungevano la pianura. E da lì tornavano con le bisacce vuote di sale e piene di granaglie.
«Oggi il percorso è inevitabilmente inverso. Dalla pianura verso il mare». A dirlo è un infaticabile frequentatore di questi posti. È l’ex direttore della Standa di via Venti Settembre a Genova, in pensione da tempo, che abita a Voghera ma quando può viene quassù. Si chiama Ezio Menini, dice: «Voi liguri percorrete solo i sentieri della vostre montagne, noi padani cerchiamo il mare, bucando la nebbia. Per questo la Via del Sale è oggi un sogno alla rovescia. Si parte da Varzi, si arriva come prima tappa a Capanne di Cosola, dove si passa la notte. Si raggiunge quindi Torriglia, facendo poi sosta a Pannesi o Calcinara. E la terza tappa prevede l’arrivo a Camogli. Con una gran mangiata di pesce».
Illusi anche da una recente visita, nell’albergo di Capanne, dei ministri Tremonti e Bossi, gli abitanti hanno sperato che il progetto dell’Autostrada del Verde venisse finanziato e che la Via del Sale diventasse un percorso curato e segnalato. I soldi non sono finora arrivati e soprattutto è impensabile mettere d’accordo quattro province. Burocrazie, protocolli. Altro che dialetti, altro che federalismo!
Meglio sedersi a quella tavola di pino nodoso sullo spartiacque, che si offre per essere imbandita di un menu contaminato. Pisarei e fasoi con culatello dall’Emilia, ravioli al brasato dal Piemonte. E siccome i genovesi arrivano a frotte non mancano i mandilli al pesto. Perfino la gestione dell’albergo vede in pista sei parenti di diverse radici. Dal giovane Callegari, 28 anni, piemontese, al più anziano, Gianni Manici, lo zio emiliano. La stessa famiglia gestisce questo posto da quattro generazioni: della cinquecentesca chiesetta che alle origini era su queste fondamenta, è rimasta una volta in pietra in una sala bar. La chiesa divenne poi dogana del Ducato di Parma e Piacenza, quindi dal 1840 fu una locanda per rifocillare i viandanti della Via del Sale. Da tempo l’albergo è meta di vacanza. Qualcuno ricorda ancora l’amato mulo Paccian e le discese con i cartoni sotto il sedere giù per le colline. Ma oggi questo è quasi un posto alla moda, aperto tutto l’anno, che offre la possibilità di fare escursioni a piedi e a cavallo d’estate, funghi d’autunno, sci d’alpinismo e gite con le motoslitte d’inverno.
Emergono anche i piccoli, grandi conflitti di confine. Le strade, per esempio. «Il Piemonte sì che le tiene bene. Invece la provincia di Pavia…». Pare che i motociclisti, che arrivano numerosi dall’Alessandrino e da Cabella, tornino indietro sul crinale perché un metro più in là la strada è dissestata. Ma c’è di più: il presidente della Provincia di Genova, Alessandro Repetto, frequentatore e amante di queste valli, racconta che Ottone, paesotto del Piacentino a pochi chilometri dalla dolce Montebruno, sia così pelle a pelle con la provincia della Superba da aver in animo di organizzare un referendum per l’annessione al Genovesato. Ci si chiede: come faremo con gli alberi? Qualcuno puntualizza che le faggete sono più emiliane e piemontesi e i lecceti più liguri. Che si fa? Si sradica e si ripianta?
Donata Bonometti
(Articolo tratto da Il Secolo XIX del 26/08/2010)
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