Egregio Direttore,
fin dai tempi della mia fanciullezza in cui trascorrevo parte delle vacanze estive a Bobbio ospite di parenti, ho imparato ad apprezzare “La Trebbia” ed ancora oggi, a distanza di anni, quando ne ho l’occasione, mi piace sfogliarla con attenzione.
Da alcuni mesi sono subentrato alla presidenza della Pro Loco di Rezzoaglio e desidero esprimere il mio più sincero ringraziamento per aver pubblicato il programma delle nostre manifestazioni.
Oggi, vorrei sottoporre alla sua cortese attenzione una piccola composizione “poetica affettiva” di una persona che desidera rimanere anonima, molto affezionata, come il sottoscritto, al suo paese di orìgine, Vicosoprano.
La richiesta di questa persona è che il suo articolo – scritto nel 1954 – sia pubblicato su “La Trebbia” e spero possa soddisfare il nostro compaesano.
Ringraziandola anticipatamente, colgo l’occasione per porgere i mìei più cordiali saluti.
Paolo F. Pagliughi
Vicosoprano, 26-10-1954
Nella Valdaveto Vicosoprano (m 1086) è un mucchietto di case sbocciate come un nido del capriccio selvaggio della natura.
Bene esposto tra levante e mezzogiorno, tra cielo e terra, guarda i suoi orridi magnifici dove nel fondo ombroso scorre l’Aveto sgomitandosi in sassosi meandri ornati dagli argenti suoi salici. Ad una spanna di terra sopra le case, si stendono fecondi i campi ed i pascoli, così resi dal lavoro audace dell’uomo che li coltiva con intenso amore.
Posto ai piedi delle falde pietrose dell’Oramara (m 1522) nell’insieme è un ampio altipiano che dà il sostentamento ai contadini, usi ad essere sobri delle quotidiane fatiche.
Le ore passano nel silenzio rotto soltanto dalle campanelle tremule degli armenti, la solitudine spiega le sue ali nell’incanto nostalgico delle vette.
Solo quando la campana suona il mezzogiorno sui vecchi tetti del villaggio ricorda loro di lasciare la zappa al luccichio del sole per la tregua del desco e della meditazione. Allorché di buon mattino il sole spunta tra le frange rocciose del Maggiorasca e del Penna, sfolgorando i suoi raggi sul campanile che veglia Vicosoprano è in piedi come i suoi bravi alpini sul fronte di battaglia.
Ciò che manca invero è l’attrezzatura alberghiera sia pur di modesta l’elevatura, che possa offrire per l’altrui concorrenza, adeguato ristoro al villeggiante, essendo la condizione climatica del tutto eccellente. È positivo che quella plaga debba brillare come una gemma nel diadema dei soggiorni avetani.
I ruderi che ancora scorgonsi di poco staccati dalla vetta del Dego, sono quelli di una Chiesa iniziata dal Vescovo di Bobbio, il Santo Antonio Maria Gianelli, sulla prima metà del secolo scorso. Detta chiesa quantunque non raggiungesse il suo compimento pure risulta che è stata meta per qualche anno di gran numero di fedeli. Ricordo di aver udito da vecchi, come tutte le parrocchie della valle dell’Aveto, e gran parte della Trebbia vi fossero intervenute in processioni con croci e stendardi, e il Santo Vescovo, su quella altura, dall’ampio orizzonte, con la smagliante sua parola, aveva commosso quella folla fino alle lacrime.
La fine immatura di quel Vescovo, significò l’abbandono di quell’opera. Diversamente tramutata in un Santuario, oggi apparirebbe il faro di fede dei nostri monti.
Anonimo Vicosopranese
(Articolo tratto dal N° 26 del 08/07/2004 del settimanale “La Trebbia”)
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