Curiosando nell’archivio degli articoli del Corriere della Sera abbiamo trovato questo bell’articolo del 24 maggio 2002:
Qui il Wildness, il mondo selvaggio, è sopravvissuto intatto, come nelle più belle pagine di Jack London. Qui di notte, risalendo lo Staffora, si può ancora sentire qualche lupo che ulula alla luna. Incredibile, se si pensa che siamo appena dopo Varzi, a settanta chilometri da Pavia e a poco più di cento, in linea d’ aria, dai grattacieli di Milano.
Ma ad Artana di Ottone, provincia di Piacenza solo per un piccolo scarto della carta topografica, si torna indietro nel tempo. Nel paesino semiabbandonato il silenzio è «assordante». Sette abitanti in tutto. La chiesa di Sant’ Antonio, chiusa da sempre. Il cippo ai caduti del Quindici e Diciotto ricorda due soldati con lo stesso cognome: Guaraglia. Montanari, spediti in guerra, quando quaranta famiglie campavano a castagne e qualche coniglio la domenica. Stallette e case di pietra, ammucchiate sull’ unica stradina, tutte con le imposte sbarrate. Si aprono solo d’ estate quando ad Artana tornano gli emigrati a ritrovare i ricordi. Un idillio, se non fosse per le voci e le tracce della presenza di un branco di lupi, arrivati sul Penice da una quindicina di anni, dal parco degli Abruzzi, seguendo il crinale appenninico e tallonando i piccoli di cinghiali e caprioli. Ma nonostante l’ isolamento e la presenza dei predatori, c’ è chi dice sei e chi quindici, una famiglia di allevatori è rimasta.
E a Artana, come nella favola di Cappuccetto Rosso, nell’ ottobre di diciotto anni fa, è nata Monica Guaraglia, piccolina allora dagli occhi azzurri e dai capelli biondi. E qui è diventata grande. Cresciuta in una famiglia all’ antica, di mandriani e boscaioli. La nonna Giovanna, 75 anni, il papà Francesco, la mamma Mariangela e una sorellina che adesso va alle elementari. Come vicini due zii, scapoli, Giovanni, 76 anni, e Gino di 34. Tutta qua la popolazione del paese senza osteria, ostetrica, prete e vigili, dove Monica ha mosso i primi passi, quando la mulattiera che porta a Capannette di Pei era di terra battuta e con la neve non poteva andare a scuola. Ma a tratti e bocconi la bambina è riuscita a fare le medie. Un’ infanzia di solitudine («I bambini li vedevo solo in Tv») diventata un po’ angosciante quando in zona sono arrivati i lupi. E a isolare il borgo, almeno nell’ immaginario, è stata l’ uccisione nei paraggi di un grosso esemplare maschio, soprannominato «lo zoppo» per la zampa storpiata da una tagliola.
«Una notte me lo sono visto davanti alla veranda del ristorante – racconta il signor Tambussi, titolare dell’ antico albergo di Capannette – aveva gli occhi rossi, ha digrignato i denti ma poi è scappato». La piccola Monica intanto ha cominciato ad andare nei pascoli, a trasportare la legna e a curare i suoi quattro cavalli di razza bardigiana ma con le prime ombre della sera sempre di corsa a casa, davanti al televisore che aveva preso il posto del camino. «La mia vita sui monti – racconta – non è né bella né brutta – mi mancano le amiche, la compagnia quando fa buio presto. Di bello c’ è che vivo all’ aperto. Il lupo? Adesso che sono grande non mi fa più paura e pensare che da bambina i milanesi che avevano letto la mia storia sul Corriere mi avevano spedito a Natale un sacco di regali. Adesso però vorrei andarmene via, sogno un lavoro che mi faccia stare in mezzo alla gente. Artana comincia ad andarmi stretta. Aspetto l’ estate quando tornano gli abitanti di una volta, trovo le amiche ma è una storia che dura poco. Quando tutti se ne vanno è molto triste. Resto sola con i miei gatti neri, l’ oca che ormai ha più di quattro anni, Leda e Birba, i due cagnolini. Poi a letto con le galline, sempre da fare con le bestie. Mia nonna è abituata ma mi domando se alla mia età questa è vita».
Monti e animali
PRESENZE Il lupo è giunto da una quindicina di anni nella zona appenninica ai confini con Lombardia, Piemonte, Liguria ed Emilia. Si contano una quindicina di esemplari, provenienti dal Parco degli Abruzzi
BRANCHI In Italia ci sono circa 500 esemplari. La specie è protetta ma gli allevatori tendono a combatterli con tagliole e bocconi avvelenati
AVVISTAMENTI Numerose impronte nella zona del Penice ne attestano la presenza. Le orme sembrano quelle di un cane ma sono disposte su un’ unica fila. La settimana scorsa, a Mogliazze, vicino a Bobbio, è stato trovato un agnello sgozzato.
Pietro Pacchioni
(Articolo tratto dal Corriere della Sera del 24/05/2002)
(La fotografia di Artana è di Monika Rossi)
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