Casoni e Vallescura (secondo gli antichi documenti “Valle Oscura” per la sua singolare orografia che la vede posta “au luveghu” e di conseguenza con poca insolazione) sono due siti dell’Alta Val Trebbia posti nel comune di Fontanigorda.
Ebbero, in passato, una particolare e interessante produzione di prelibato formaggio.
Questi paesi, ora scarsamente abitati a causa dell’abbandono di questo territorio dell’Appennino Ligure, sono stati da sempre popolati da due antichissimi nuclei familiari dei quali si sono raccolte testimonianze antecedenti al 1500: i Ferretti a Casoni ed i Benazzi a Vallescura.
Queste famiglie, a causa del ricorrente fenomeno di endogamia, ebbero tra loro legami profondissimi.
Per i Benazzi si è ultimamente ritrovata una probabile provenienza dal paese di Retorto, posto nell’alto Appennino Parmense. E’ probabile che, superando lo spartiacque, ed attraverso le alte vie, essi siano giunti in Vallescura con i loro armenti e le loro abitudini emiliane.
La specularità nel tipo costruttivo delle abitazioni, molte similiarità nel dialetto, e l’identico cognome sono utili tracce per considerare una comune origine.
E’ però negli antichi usi di questi pastori e, specialmente, nel “rito” della preparazione del formaggio che ben si possono identificare le sottili differenziazioni e valutare quanto i legami familiari fossero necessari per la sopravvivenza, e quanta importanza avessero le naturali e spontanee aggregazioni in quel rarefatto mondo rurale tramontato.
La lavorazione del latte
Per poter ottenere giornalmente la quantità di latte fresco necessaria si ricorreva allo scambio del prodotto appena munto.
Lo scambio (u cambiu)
Lo scambio del latte avveniva fra un gruppo di famiglie contadine (generalmente non più di dieci unità).
La misurazione (a mesira)
A Vallescura il latte veniva misurato con un unico secchio (stagnun) della capacità di 10 litri e con una scodella (schiela) che conteneva un quarto di litro. Questi recipienti erano in rame stagnato con rifiniture in ottone.
Diversamente da Casoni il metodo di misura era originariamente diverso, esso consisteva nella misurazione del livello del latte nel secchio con un bastoncino di legno usato come una piccola sonda e segnato al giusto livello mediante una tacca fatta col coltello.
Ogni famiglia aveva il proprio recipiente di misura e rilasciava a titolo di ricevuta un bastoncino segnato a livello e di quella qualità di legno che era sua esclusiva. Pertanto ad ogni famiglia corrispondeva una qualità di legno (faggio, castagno, acero, ontano, carpine, cerro ecc.).
La restituzione del latte avveniva usando sempre lo stesso secchio e misurando col medesimo bastoncino fino al livello precedentemente segnato.
Vallescura, che contava circa venti famiglie, aveva due scambi; Casoni, più popolosa, ne aveva cinque.
La raccolta (purtà u leite)
La raccolta iniziava con il latte della mungitura serale che al mattino seguente, dopo il raffreddamento notturno, veniva scremato per la produzione del burro e successivamente integrato con il latte del mattino.
Filtraggio (curà)
Il latte durante la raccolta veniva filtrato con un filtro (curu) formato da un recipiente di legno a forma di coppa semisferica del diametro di circa quaranta centimetri, sul quale veniva steso un telo di lino candido che aveva la funzione di filtro vero e proprio, sul fondo della coppa era praticato un foro che permetteva il deflusso del latte filtrato nel recipiente sottostante.
IL filtro era supportato da una base a forma di tavola con maniglie che appoggiava sull’orlo del recipiente anzidetto.
Lavorazione del formaggio (fa o frumaggiu)
L’intera produzione di latte (mungitura serale e mattutina) veniva versata in uno o due grossi paioli (buggiacca) anch’essi di rame stagnato e messa a riscaldare sul focolare alla temperatura di circa 35/36°C.
A questo punto si aggiungeva il caglio (che si otteneva dallo stomaco dei vitelli da latte con l’aggiunta di sale e latte e successivo essiccamento “quaggetto”).
Oppure si comprava da venditori ambulanti (molto noto era un venditore di Brignole in Val d’Aveto che trattava questo prodotto consegnandolo nei vari paesi della Val Trebbia ed Aveto).
Si attendeva quindi che il latte fosse ben cagliato per poi procedere alla “rottura” usando un particolare mestolo (a mexera).
Il cagliato veniva tolto dal siero spremendolo manualmente e formando delle palle della grandezza del palmo della mano (tumma).
Si procedeva quindi alla frantumazione per facilitare la completa separazione del siero, quindi il cagliato veniva posto e pressato nella forma (fasciella).
La forma, ricoperta con una tela di lino, era inizialmente caricata con una lastra di ardesia e successivamente con altri pesi fatti di pietra.
Per l’intera durata della spremitura la forma era posta sopra a un apposito recipiente (tuffagnia) che serviva a raccogliere il siero e convogliarlo in un mastello. Onde evitare malformazioni, la forma di formaggio veniva periodicamente capovolta nel contenitore.
Quando essa aveva dato tutto il siero era pronta per la salatura e la stagionatura.
Salatura e stagionatura
Il formaggio veniva salato e conservato in un locale generalmente seminterrato in modo da mantenere una temperatura fresca in estate e meno gelida in inverno (questo locale a Vallescura è chiamato “granà” mentre a Casoni, alla distanza di circa un km, lo si chiama “caniviello”).
Durante la salatura il formaggio veniva posto su una lastra di ardesia e cosparso di sale grosso.
Per la stagionatura si sistemavano le forme su ripiani di tavole di legno e periodicamente si ungevano con olio di oliva. Le forme stagionate prodotte a Casoni o a Vallescura pesavano generalmente dagli 8 ai 12 chilogrammi.
La qualità migliore si otteneva nei mesi di Maggio e di Giugno.
Il formaggio di Vallescura è sempre stato superiore in bontà a qualsiasi altro, dello stesso tipo, prodotto in Alta Val Trebbia.
La ricotta (u sarazzu)
Il siero rimasto nel paiolo, dopo essere stato separato completamente dal cagliato, veniva messo a scaldare sul focolare con l’aggiunta di sale.
Raggiunta la temperatura di 75-80°C si coagulava la ricotta che veniva schiumata con una schiumarola di legno (cazza buesa) e posta in una tela di lino, chiusa a fagotto con un cappio di spago ed appesa a gocciolare.
Il prodotto residuato della ricotta è chiamato localmente “scueggia”. Questo prodotto veniva equamente suddiviso fra i componenti dello scambio versandolo nei loro mastelli di legno (nappi) al fine di essere utilizzato nella preparazione di mangime per il bestiame.
La ricotta è un ottimo prodotto, ma di facile deterioramento. Per ottenere una più lunga conservazione veniva salata e conservata per una breve stagionatura.
Il burro (u bitiru)
Come è stato precedentemente descritto, il latte della mungitura serale veniva scremato al mattino successivo.
La crema di latte era trasformata in burro mediante sbattimento nella zangola (birrarue).
Il burro veniva separato dal siero e confezionato in pani di forma cilindrica ottenuti con sbattimento e rotolamento entro un piatto.
Anticamente il burro era poco usato, pertanto la produzione era molto limitata.
Le carovane di mulattieri che percorrevano le alte vie erano certamente il mezzo più veloce per far giungere il prezioso prodotto nelle cittadine rivierasche dove veniva commercializzato ed anche esportato.
Certamente veniva usato come merce di scambio per prodotti non disponibili a queste altitudini quali l’olio di oliva, il vino e l’eternamente necessario sale che tanta importanza ebbe nell’economia appenninica.
Mantenere il ricordo di questo mondo produttivo ormai tramontato, le terminologie, la denominazione degli utensili usati, è un dovere verso le future generazioni.
Guido Ferretti
(Questo articolo è stato tratto dal N° 29 del 26 Luglio 2001 del settimanale “La Trebbia”)
(Fotografia tratta da formaggio.it)
Related Posts